Condominio 78 di Alessio Masciulli

Per chi scrive un libro è come posto in cui gettare tutte le proprie emozioni, dove scaricare paure, rabbia, indignazione ma anche passione, gioia, gratitudine, speranza e coraggio. Chi scrive sa che questa passione è un’esigenza come mangiare e respirare e soprattutto è la via di salvezza. Scrivere permette di superare i momenti brutti, di essere sollevati dal macigno delle emozioni peggiori, di abbracciare le sensazioni più belle e indescrivibili.

Tenersi dentro tutto non fa stare meglio, tanto vale svuotarsi e farlo scrivendo è uno dei modi migliori.

Questo è scrivere per me. Questo è scrivere anche per Alessio Masciulli e nel suo ultimo romanzo Condomino 78 (Masciulli Edizioni) si mette a nudo, si racconta e si mostra senza filtri. L’autore abruzzese può vantare già una grande spontaneità e schiettezza d’animo, ma in questo romanzo esprime ancor più tutti i suoi pensieri.

I pensieri vengono letti attraverso brevi racconti, momenti vissuti da lui, incontri fatti, storie di altri uomini e donne, passando per i pilastri della sua vita, i genitori, gli amici d’infanzia, la nonna fino al racconto attraverso i luoghi, i ricordi e i sogni.

Lo stile è leggero, quasi colloquiale come fossimo davvero a berci qualcosa in compagnia di un amico e le chiacchiere toccano argomenti diversi. Il punto di forza di Condominio 78 è questo: essere un libro vivo, un libro fatto di persone, i protagonisti di cui si parla ma in primis del lettore e dell’autore. Avete capito bene, ogni lettore diventa protagonista perché interlocutore dell’autore che si percepirete come compagno di confidenze e non potrete nella vostra testa fare a meno di dire la vostra, di rispondere e commentare.

Scrittura come un luogo dicevo e non è un caso che il titolo faccia riferimento a un condominio. Un condominio in cui in ogni appartamento c’è qualcuno che custodisce e vive la sua storia. Il 1978 è l’anno di nascita di Alessio e dunque, l’autore che si racconta e osserva e nel farlo si fa portavoce non solo dei suoi pensieri e emozioni ma anche di quelli di altri. In Condominio 78 ho trovato Alessio ancora più sincero, più arrabbiato, ma anche fiero, sofferente ma anche gioioso, dispiaciuto per ciò che non è stato e pieno di positività grazie a ciò che ha realizzato e verso nuovi sogni.

In un condominio le famiglie si amano, litigano, si sostengono, si ignorano, c’è il bello e il brutto della quotidianità, c’è la vita vera. Ecco perché in questo libro lo stesso autore racconta la vita vera, episodi che fanno sorridere e scaldano il cuore ed altri che fanno dispiacere o rabbrividire, il tutto nella riconoscenza verso il miracolo che è l’esistenza.

 

Io leggo perché … è autunno

Oggi entra l’autunno.

Sì lo so, come me in tanti leggono soprattutto d’estate, in viaggio o al mare, in giardino o in qualunque altro posto li ispiri insieme al relax della bella stagione. Eppure, chi legge saprà che un certo fascino ce l’ha anche l’autunno per coltivare questa passione. Chi legge, anche se con un po’ di malinconia pensa che dovrà passare ancora un anno per le soleggiate e calde giornate, sa che ad aspettarlo nelle prossime settimane ci saranno il divano e un plaid colorato, il caminetto acceso e una tazza di cioccolato. Mentre sfoglieremo le pagine dei libri che ci terranno compagnia, ci faremo scaldare dal calore della tazza in cui avremo versato la nostra tisana preferita oppure sceglieremo di non accendere la tv e sotto il piumone nel letto, ci trasferiremo con l’immaginazione in un’epoca lontana o su un’isola deserta.                                                                          Autunno significa anche nuove uscite, gli scaffali delle librerie si popolano di nuovi libri e viene programmano un calendario di presentazioni di autori da segnarci in agenda.   Le librerie torneranno ad essere un rifugio dalla pioggia o dal freddo mentre attenderemo che passi il prossimo autobus. Per non parlare delle biblioteche dove andare a studiare o leggere, uno degli ambienti che conserva sempre una magica atmosfera.

Oggi entra l’autunno e io non vedo l’ora di passare altri momenti con un libro in mano, magari anche autografato dal suo autore.                                                                     Oggi entra l’autunno e farò in modo che anche con la scrittura di dare spazio alla mia creatività, incrociando le dita magari per una nuova pubblicazione.

L’amore è per noi di Francesca D’Isidoro

Alessio e Vittoria.  Si amano. Si rincorrono. Si lasciano.  O meglio, lui lascia lei per sposare un’altra. O meglio ancora, lui lascia lei che ama per sposare un’altra che non ama. Direi che questo potrebbe bastare per incuriosirvi e indurvi a leggere “L’amore è per noi” (Edizioni ilViandante_2016) di Francesca D’Isidoro, giovane e brillante scrittrice pescarese al suosecondo romanzo. Il primo è stato “L’amore non è per tutti”, elaborato e scritto alla fine di una storia d’amore per lei molto importante. E alla luce del successo che ha avuto, è stato l’ennesima dimostrazeione di quanto la scrittura possa essere terapeutica e utile all’elaborazione delle emozioni. E soprattutto di quanto, mettere se stessi in un’opera, permetta davvero forse di arrivare di più al lettore. “L’amore è per noi” mi ha fatto compagnia in una settimana un po’ difficile anche per il mio cuore, ma le disavventure, l’ironia e la simpatia dei personaggi creati da Francesca non mi hanno fatto perdere il sorriso. Alessio e Vittoria si muovono tra le pagine come fossero sullo schermo della tv e tu puoi seguire la loro avventura accoccolata sul divano con le patatine in mano. Scrittura e immaginazione filmica si intrecciano. Il desiderio di scoprire cos’altro s’inventerà Alessio per riconquistare Vittoria, faceva sì che smettessi di fare altro in casa per sbirciare qualche altra pagina. Quello che vi ho anticipato è solo un antefatto, tutto il libro è incentrato invece sui tentativi che Alessio dovrà compiere per riprendersi il suo Amore. E come dice l’autrice nelle presentazioni: un uomo davvero innamorato può essere capace di tutto. Francesca è stata in grado di calarsi nei anni di un maschio, per di più di un maschio che torna sui suoi passi, che si rende conto di aver sbagliato e si rimette in gioco con tutto se stesso. E’ stata davvero brava. La capacità di conferire ad un personaggio un carattere come ha fatto Francesca, e non solo con Alessio ma con tutti i personaggi che gli ruotano intorno, ritengo sia una grande capacità. Francesca penso sappia attingere da ciò che la circonda ogni giorno aspetti e dettagli, immagazzinandoli in un cassettino del suo cuore per usarli poi nella rielaborazione creativa.“L’amore è per noi” si legge in maniera fluida, è un libro fresco e accattivante, allegro e intimo nello stesso tempo. È scritto con un linguaggio che arriva, diretto e lineare. “L’amore è per noi” è vero e sincero. Augurandovi di scegliere questo libro come prossima lettura da non perdere, chiuderei con una citazione che ho apprezzato tantissimo:

“Questo è l’amore. Quello che abbiamo costruito insieme è l’amore. Anche tutti gli sbagli che abbiamo commesso, sono l’amore, perché alla fine ci hanno sempre riportato al punto di partenza: a noi due. L’amore siamo noi, semplicemente. E l’amore è per noi. Ora lo so.”

La chiave della vita di Moira di Fabrizio

Ankh cosa significa? È un segno che simboleggia la vita, l’immortalità e auspica la vita eterna. Ha la forma di una chiave che costituisce il ciondolo della collana che Julienne riceve in dono dall’uomo che ama. Julienne è una giovane archeologa, protagonista di Ankh il libro del 2014 della scrittrice abruzzese Moira di Fabrizio.

Intorno a Ankh ruota la vicenda narrata tra viaggi di lavoro, ricerche nell’affascinante terra d’Egitto e un amore forte ma tenuto lontano che muovono i fili della vita della protagonista.

Moira con un’attenzione ai particolari, leggerezza e fascinazione riesce a far entrare il lettore nhel cuore della donna protagonista nata dalla sua penna ma anche nelle sensazioni del personaggio maschile che le pone accanto. Moira riesce a “sentirli” e a creare empatia con loro.

Sono personaggi vivi, appassionati e stretti dalle paure e ambizioni umane. Sono personaggi in tensione tra ciò che desiderano e ciò che credono di volere, tra un’energia da spendere per il loro lavoro e quella da regalare a chi amano, tra il presente nel quale si adoperano per essere ciò che credono e il futuro in cui saranno chi sono destinati a essere.

A dare un tocco in più per il coinvolgimento emozionale la scelta delle ambientazioni: Parigi e gli scavi in Egitto. Due mondi diversi ma entrambi luoghi eterni e pieni di fascino, calamite per chi vi vive nella realtà o leggendo un libro come questo. E se questi posti sono eterni lo siamo anche noi.

Credo che questo sia il messaggio che l’autrice voglia dare al lettore. Ankh è la vita e la vita non ha limiti. Si è presenti sempre, anche oltre se stessi.

Il libro si chiude con un finale che porta con sé una grande verità, un insegnamento a non rinviare nulla, a cogliere a pieno ogni momento della nostra vita.

“Una collana scende sul mio petto, oro il suo colore… Porta con sé la sua storia, che è anche la mia, mi sento più vicina… Ho quasi la sensazione di poterti toccare… Anche se mi scivoli tra le dita, come seta, so per certo che sei qui, vicino a me, per sempre!”

Intervista a Marina Crescenti

Tra i primi post di Oltreloscoglio c’è quello dedicato ad uno dei suoi libri, così ho pensato che sarebbe stato davvero interessante provare ad  intervistare Marina Crescenti. Lei, gentilissima,  ha accettato ed ecco di seguito la nostra chiacchierata!

Ciao Marina, noi ci conosciamo già ed è un piacere per me intervistarti. Spero sia l’occasione per farti conoscere anche ai lettori di Oltreloscoglio.

Se ti chiedo di presentarti… chi è Marina Crescenti?

E chi lo sa. Ci provo: una donna che vive delle passioni di quando era bambina, una bambina che realizza i suoi sogni coi mezzi e le capacità di un donna. Credo di essere puerilmente matura.

Cos’è per te scrivere e quando hai iniziato?

Scrivere è un bisogno fisiologico, se scrivo sto bene, se non scrivo mi sento una bomba a orologeria. Scrivere è libertà allo stato puro, un salto nel vuoto, è adrenalina. Scrivere è terapeutico. Una droga, non potrei farne a meno. Scrivere significa crescere. E’ vedere come cambi nel tempo, qualcuno che ti resta accanto, che cambia con te, per te, come te. Fedele, leale, non lo sarà solo se sarai tu a tradire te stesso con false emozioni, finti sentimenti su carta. Quando ho iniziato? Non ho molti ricordi legati a Barbie o Ciccio Bello, solo uno in particolare: una penna a sezione esagonale colorata di rosso, scivolava meravigliosamente sul foglio, inchiostro blu, avevo appena imparato a scrivere, non ho mai smesso.

Se invece ti riferisci alla narrativa, ho iniziato nel 2004 con 4 Demoni.

Ogni scrittore ha le sue abitudini, i suoi momenti speciali e modi di cogliere l’ispirazione. Tu in quale situazione ami scrivere i tuoi libri?

Sicuramente, di notte. Ma ogni momento può diventare perfetto, basta lasciarsi andare, ascoltarsi, lasciare che le cose arrivino dentro e sgorghino fuori, senza preconcetti, niente sbarramenti, puoi allora cogliere l’istante di una visione anche a un semaforo rosso. Importante è avere una penna sempre a portata di mano, anche un cruscotto a volte può essere una valida base di appoggio.

 Da cosa nasce la predilezione per il genere giallo e noir?

Dalla mia voglia, no meglio, dalla necessità imprescindibile di conoscere fino in fondo il perché delle cose, e anche il dove, il quando, il come! E il giallo, come il noir, racchiude in sé tutto questo. Comunque, è una passione travolgente che ho da quando ero bambina, temo di esserci nata, non riesco a immaginarmi senza.

Dai tuoi libri emerge una particolare sapienza cinematografica. Infatti, i film polizieschi degli anni ’70 hanno creato il tuo immaginario fin da bambina. Quanto influisce la passione per il cinema sul tuo modo di scrivere?

Parte tutto da lì. Dai film gialli e polizieschi italiani dell’epoca – qualcosa del cinema francese, meno di quello americano – che ho visto e stravisto. Ci sono cresciuta. Mi hanno plasmata. Formata. Deformata?…

Ognuno di noi ha un libro speciale, quello che in qualche modo più di altri è stato importante nella nostra vita. Qual è il libro che ti ha lasciato il segno?

Due. Centomila gavette di ghiaccio, la mia bibbia, è arredo permanente del mio comodino. L’Alienista di Caleb Carr, lo spintone finale che mi ha fatto andare a sbattere contro la scrittura narrativa.

La citazione più bella letta in libro?

La vita è la cosa più infernale che possa capitare a una persona.

Veniamo a “E’ troppo sangue anche per me”, di cui i lettori di Oltreloscoglio hanno già avuto modo di leggere la recensione. Da quale idea è nato?

l giallo è una passione, la scusa per scrivere di ciò che desidero. In ogni mio libro, come in questo, esiste un argomento di fondo che comincia a premere dentro, io lo lascio fare, poi lo metabolizzo, lo sviscero, quando prende a gridare forte è ora che esca. E’ un parto. L’idea di “E’ troppo sangue anche per me” scatta dalle cosiddette Case delle Bambole, tristemente note anche come Joy Divisions, le Divisioni della Gioia, ovvero, i bordelli tedeschi dove gli ufficiali nazisti obbligavano le più belle giovani ebree, prelevate dai campi di concentramento e poi tirate a lucido, a prostituirsi senza sosta. Senza possibilità di fuga. Ma una ce la fa, almeno nella mia mente, e da questa idea ulteriore si snoda l’intero romanzo ambientato ai nostri giorni, con agganci al passato.

E’ troppo sangue anche per me è il terzo romanzo in cui il protagonista è Luc Narducci, commissario ispirato all’attore Luc Merenda.  Quali sono secondo te i punti di forza del tuo Luc?

E’ vero, sincero, mostra solo quello che è veramente, conosce i suoi limiti, molto meno le sue capacità, perciò non si dà arie ed è comprensivo verso gli altri, poco con se stesso, si butta nelle cose e non si risparmia, è autoironico, impulsivo, fedele, è un sentimentale, sa essere un vero amico, ma soprattutto è un grandissimo gnocco!

Luc Merenda alla fine lo hai conosciuto! Dopo mail senza risposta, tentativi vari sei riuscita a conquistare anche lui. Come è andata?

La prima volta che ci siamo incontrati, un tre anni fa circa – ero andata a Parigi per farmi consegnare la prefazione al terzo romanzo – avevo il raffreddore, sfilo di tasca un fazzoletto, ma prima guardo strategicamente l’orologio al polso, le 10,15. Lo aspettavo per le 10,30.  Avevo un quarto d’ora buono. Perfetto. Agisco con calma, con altrettanta calma, tramutatasi subito in un “vorrei sotterrarmi”, sollevo lo sguardo e me lo ritrovo davanti nell’esatto istante in cui mi soffio il naso. Erano trent’anni che volevo conoscerlo.

Oggi, stiamo scrivendo a quattro mani un memoir sugli episodi più divertenti della sua vita d’attore, ho superato il trauma.

In “E’ troppo sangue anche per me” Luc, commissario lombardo, preciso e rigoroso,  è affiancato da un collega e amico di vecchia data pescarese. Si tratta di Orfeo, un investigatore dai modi meno convenzionali e caratterizzato da un forte accento abruzzese. Cosa viene fuori da questo incontro di personalità diverse?

C’è un’altra cosa nel libro che mi divertiva parecchio descrivere: il rapporto tra il protagonista, Luc, di Milano, e il suo amico poliziotto, Orfeo, di Pescara. T’ho detto tutto. Due mentalità a confronto. Nord e Sud. Ne succedono di tutti i colori, ridevo da sola, mentre scrivevo di questi due rompiscatole, come hai detto giustamente tu, così diversi, e impegnati, loro malgrado, in un’indagine dai toni cupi; credo si sia trattato anche di un espediente (inconsapevole?) per allentare la tensione. E non solo del lettore.

Orfeo con la sua semplicità, i suoi modi schietti, strappa a Luc ogni tanto un sorriso e gli fa capire che c’è anche un altro modo di vedere le cose. Vorrei riportare l’ultimo dialogo tra i due soggetti:

Le risaie sono ricolme d’acqua, Orfeo le osserva rapito mentre guido verso la chiesa. E si sta rilassando. Era ora. Chissà, mi domando, in un uomo che ha vissuto col mare davanti, quali emozioni susciti un paesaggio così diverso. Di certo, una percezione di armonia, un senso di pace nuovi per lui.

“A Lù.”

“Sì…”

“A Lù.”

“Eh!”

“A Lù, ma quant’ cazz’ ha piovuto?”

 La scelta di dar voce a un personaggio di Pescara è legata alle tue origini, giusto?

Giusto. Il romanzo comincia con un omicidio avvenuto a Pescara, ma è ambientato tra Milano e Pavia, con una breve tappa a Varsavia. Il perché io abbia voluto inserire Pescara in un mio romanzo è presto detto: è la mia città. Vivo a Pavia da diversi anni, cominciava a non piacermi che parlassero o scrivessero di me come una scrittrice pavese. Perciò, ho pensato che fosse arrivato il momento di “immortalare” tra le pagine di un mio libro le mie radici.

Luc Narducci è circondato da tanti altri personaggi: la sua squadra investigativa e la sua famiglia. Credo contribuiscano a rendere avvincente la lettura, perché immergono il lettore in una realtà che sente più “umana” e vicina a lui. Quanto ti diverte muovere i fili della vita dei vari personaggi?

Molto. Quando dicevo che scrivere è libertà, voglio intendere proprio questo: dei tuoi personaggi puoi fare quello che vuoi. Come pure hai carta bianca con le vicende nelle quali vuoi immergerli. Puoi farli addirittura morire…

Credo anch’io che descrivere i personaggi a tutto tondo, lavoro, famiglia, relazioni interpersonali, hobby, presentarli dunque nella loro completezza, non solo renda la trama più densa, più interessante, ma il lettore finirà anche per affezionarsi a loro. La monotematicità la trovo piuttosto noiosa.

In “4 Demoni” era presente la tua passione per il tennis, in “Joy” tracce tratte dai brani dei Joy Division, band inglese degli anni ’79-80 e in E’ troppo sangue anche per me flash e immagini riferite ad un documentario sulla Joy Division (baracche femminili dei campi di concentramento in cui le donne venivano usate come prostitute dalle SS). Quest’ultimo è un tema molto delicato e importante, come è nata l’idea di proporlo nella vicenda da te narrata?

L’idea è nata da un documentario che ho visto in televisione intitolato “La Prostituzione e la Wehrmacht”. Non immaginavo a quali cose orribili andassero incontro quelle povere ragazze, e non è stato facile ascoltare queste ultraottantenni sopravvissute a quell’inferno mentre parlavano della loro sterilizzazione, del modo raccapricciante con cui veniva eseguita.

Ecco una testimonianza di come anche il giallo e il noir siano mondi letterari in cui è possibile trovare anche altro, per non parlare delle emozioni vere che suscitano e dunque, di quanto possano essere comunicativi. Eppure, per qualcuno, come è avvenuto per il Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza, gialli, fantasy ecc. ignorano il compito conoscitivo della letteratura…

Sono rimasta letteralmente allibita di fronte a tanta superficialità, boria e ignoranza. Non voglio aggiungere altro, lungi da me fare a questa casetta editrice, quantomeno di intenti, della pubblicità.

A ottobre è stato pubblicato il tuo nuovo romanzo “Le lacrime del branco.” Puoi presentarcelo?

Il romanzo si ispira ai nostri polizieschi degli anni ’70. Questa volta mi interessava mostrare la doppia dimensione in cui vivono i componenti del branco: carnefici e vittime al tempo stesso. Ragazzi che usano ogni genere di violenza senza mostrare rimorsi o ripensamenti, vittime degli abusi subiti in ambito familiare durante l’infanzia. Non a caso, il titolo parla di lacrime. Abusi, dunque, sofferenze, umiliazioni che traggono spunto da storie vere che ho approfondito in alcuni testi e saggi sull’argomento. Perciò, il mondo visto attraverso gli occhi di spietati assassini, il lato umano di cinque ragazzi nella difficile convivenza col proprio io, difettato, dilaniato da chi prima di loro la sapeva già lunga su come distruggere un’anima e deviarla in prossimità dell’Inferno.

 Un’ultima domanda. Se ora avessi dinanzi un foglio bianco, cosa scriveresti?

Dopo il Branco? Una storia d’amore. Per purificarmi.

Marina, ti ringrazio per il tempo dedicato a questa intervista. Ancora complimenti e in bocca al lupo per tutti i tuoi prossimi progetti!