Vigilia rosso sangue

La neve era soffice, la legna fredda e i piedi procedevano a passo veloce. Le mani resistevano al gelo dell’aria nell’attesa di raggiungere il camino in cui accendere il fuoco. La porta sbatté e l’uomo se la lasciò alle spalle mentre gli cadde qualche ramo secco. Dopo pochi minuti la fiamma ardeva di se stessa, alimentata dall’ossigeno e riflessa negli occhi di chi la fissava ipnotizzato. La notte era passata e quando il sole era sorto, finalmente, Nikolaus sentì che l’incubo era finito. O almeno, lo sperava.

Era così e lo era da una vita, da quando era bambino. I fantasmi senza anima e luce te li porti dentro per sempre, si nascondono, credi ti abbiano abbandonato e poi ritornano puntuali come sempre. È come se avessero un orologio dentro che non scorda il tempo, che non manca l’appuntamento.

Dormire la notte della Vigilia era impossibile per Nikolaus, era un turbine di vuoti e pieni divoratori di essenze interiori, era il cadere nel passato. Il Natale da grandi non ha lo stesso sapore, i profumi che lo caratterizzano sono un ricordo indelebile come le macchie di sangue sulla pelle per lui. Nikolaus aveva passato i primi anni a soffrire, poi ad impegnarsi a non addormentarsi, poi a provare di dimenticare e far finta di niente. Ora affrontava le forme sinuose e scure che venivano a fargli visita dialogando con loro, senza soccombere.

Il fuoco si era spento d’un tratto e Nikolaus si sentì mancare. Le palline dell’albero si erano frantumate una ad una scoppiando. Le statuine del presepe erano cadute come le pedine su una scacchiera. Anche questa volta il rito era iniziato allo stesso modo. Aveva aperto le finestre, spalancandole per far sì che arrivassero il prima possibile perché forse, il prima possibile se ne sarebbero andate. Poi, ecco che le campane segnarono il rintocco speciale, quello della mezzanotte: una folata di vento si alzò e invase tutta la casa, il gelo entrò nelle ossa e negli occhi di Nikolaus. Le vedeva, le scrutava le forme che si agitavano, esse lo avvolgevano e lo stuzzicavano. Sembravano schiantarsi sulle pareti e di loro restavano solo macchie di sangue che poi colava fino al pavimento. Il rosso era un colore che Nikolaus non aveva mai amato. Quella notte sarebbe passata, continuava a ripeterselo. Una delle forme gli chiuse gli occhi e lui rivide l’incubo della prima volta, le urla dei suoi genitori, la madre che tremava morta di paura e suo padre senza più braccia. Chi c’era in casa, cosa stava accadendo? E lui cosa poteva fare? Rivide se stesso chiudersi nella credenza, aveva aperto lo sportello in basso, nell’angoletto della cucina. Dallo spioncino non vedeva null’altro, solo la luce emessa dalla fiamma nel camino, gli dava coraggio. Poi, si spense e era lui solo nel buoi lì dentro. Ci restò per un tempo indefinito.

La forma ridente gli permise di aprire nuovamente gli occhi, lo spinse e lui cadde a terra. Le campane suonarono di nuovo. A mano mano le forme si mossero più lentamente, uscirono via e di loro restarono solo i segnali che immancabilmente avevano lasciato. Nikolaus si scosse, si rialzò. Erano anni che non sentiva più nulla, nessuna paura, era più importante sopravvivere e se sentiva ancora il suo corpo voleva dire che era ancora vivo. Non aveva dormito, questo no e quando si fece alba era uscito a prendere legna per accendere il fuoco, quello che adesso nessuno avrebbe spento. Fino al prossimo Natale.

2012 cambiamenti possibili

All’orizzonte di quella che potrebbe essere l’ultima notte del mondo, quella che determinerebbe un finale tanto annunciato nel corso della storia dell’umanità e tornato in auge quest’anno con la profezia dei Maya, si scorgono eventi per esorcizzare, scherzarci e forse… segnare davvero una chiusura. In tutto il pianeta in queste ore sta accadendo qualcosa ed in Messico questa settimana si è raggiunto il buum dei turisti. Un’ambientazione speciale è sicuramente quella del sito astronomico di Stonehenge in Inghilterra dove è stato organizzato un party. In Francia, a Nizza si dice si voglia vivere il momento con una maxi orgia in piazza, mentre Bugarach, cittadina francese ai piedi dei pirenei e considerato luogo salvifico e magico è per molti un rifugio, spazio immune dalla catastrofe. E nel bel Paese? A Napoli sono stati dislocati nella città ben 36 corni anti  malocchio alti circa tre metri e realizzati in vetroresina, nella Capitale praticamente ogni locale e ogni quartiere ha organizzato il  proprio countdown e di altro genere è iniziativa fiorentina, presso l’Auditorium Stensen, relativa a una maratona  cinematografica a tema intitolata emblematicamente Apocalypse Night.

E voi cosa state facendo? C’è chi non ci crede e anzi fino a che non è uscito dal lavoro neanche se ne era ricordato, chi si è tormentato sui social network tutto il giorno in linea con il conto alla rovescia, chi si gode la serata come sempre e chi deciderà di fare qualcosa di speciale, magari aprire una bottiglia di vino, chiamare quell’amico che non sente da troppo tempo o chiamare quello/a che meriterebbe di essere mandato a quel paese, in fondo non è ancora Natale…

Ed io? Dallo scoglio sull’infinito del mare sempre più scuro e schiumoso in inverno, mi diverto a curiosare cosa combinano gli altri, non credo ai Maya, non credo che la fine del mondo sapremo quando sarà, non credo che la vera fine del mondo sia tanto lontana, anzi forse ci siamo già dentro considerando certe strade intraprese dall’umanità.

Credo però che il 21 dicembre 2012 potrebbe segnare una svolta. No a supposizioni negative ed apocalittiche. Sì ad un cambiamento di atteggiamento in positivo. Da domani uomini e donne, sopravvissuti, rifletteranno anche solo un attimo e considereranno di avere davanti un’altra possibilità, forse l’ultima.

Una possibilità di essere migliori, di crearsi delle opportunità, di agire. La fine del mondo è l’inizio di un altro mondo, quello nel quale liberarci da zavorre passate e rispolverare le nostre vite, in cui renderci conto di cosa ha senso e valore per noi e cosa non ce l’ha. Iniziamo cambiando il nostro piccolo mondo personale e la fine del Mondo sarà lontana. Ancora per qualche migliaia di anni…

LO SPECCHIO DELLA VERITA’ NASCOSTA prima parte

Particelle di polvere sospese nell’aria, la luce penetrante e debole le rendeva visibili, un odore acre diffuso; la stanza comunicava sospensione e chiusura.                                     Gli spazi parlano, quello che c’è dentro pure.                                                                     Zoe arricciò il naso, si strofinò gli occhi e riportò il cuscino alla testa del letto. Ama dormire nel senso opposto, ma al risveglio tutto doveva tornare al proprio ordine.                      Ordine e sistemazione.                                                                                         Anticipazione, previsione e controllo.                                                                             Disordine e caos.                                                                                  Imprevedibilità.                                                                                                           Contingenza.                                                                                                                       Due mondi opposti e mescolati nel groviglio della sua mente, della sua stanza, della sua vita. Un formicolio sotto i piedi, le gambe distese.                                                                 La luce filtrata dalla tapparella arrivava a colpire i suoi occhi appena aperti, piccoli.              Il fastidio era come un prurito sotto le palpebre, insopportabile.                                            Si scoprì, tirò giù il lenzuolo e il corpo nudo fu sfiorato dagli altri raggi di sole penetranti nella penombra. Zoe seduta sul letto, si passò le mani tra i capelli color rame, spettinati. Sentì forte il bisogno di andare in bagno e così, posò i piedi sul tappeto e poi, sul pavimento freddo di marmo.

Il bagno aveva le piastrelle blu, uno spazio di infinità racchiuso in pochi metri quadri. Passò davanti allo specchio sopra il lavello entrando e uscendo.           Lo evitava, come sempre, quando la notte era stata insopportabile.                                                        L’incubo era sempre lo stesso, breve, senza soste, oscuro. Una vertigine in cui perdeva pezzi di sé.        Si fermò davanti al cavalletto, la tela era incompleta, non trovava pace. Segni di tempera coperti, corretti, cancellati. Colore su colore. Macchie. Lacrime. Graffi. Tentare di dare una forma alle scene notturne si stava rivelando inutile. Era più dura del previsto. Ma la salvezza passa per il dolore, come la libertà.                                                                       Essere libera da se stessa, da un passato che ignorava, prevedeva che, prima lo guardasse in faccia, riconoscesse e affrontasse.       

Zoe tornò in bagno. Fissò lo specchio. Si lavò la faccia, se l’asciugò con un panno di spugna nera e poi pose di nuovo gli occhi su di lei, lì sul vetro: i capelli si muovevano agitati dal vento, gli occhi si scurivano, la pelle andava schiarendosi . Era vestita di bianco, le pieghe del vestito macchiate di sangue, le mani lunghe e sottili come artigli.                       

Zoe continuava a guardarsi, a guardare quell’immagine riflessa. Era lei? Non era lei? Sì che era lei. Ma nella realtà non era così in quel momento… si toccò i capelli, erano immobili, non c’era nessun vento a scompigliarli, in quella stanza dominava l’immobilità, il silenzio.        Si accarezzò il viso, la sua pelle e sapeva che di non essere così bianca come il latte. Sapeva bene anche di che colore erano veramente i suoi occhi.                                            Scese con le mani sul corpo, non aveva abiti addosso. Si accarezzò i seni, li sentì morbidi, sodi, vivi. L’immagine nello specchio la fissava e Zoe fissava lei. Era una sfida tra due facce diverse, tra due donne diverse, facce di una stessa persona.           

La lotta durava da una vita e stava continuando.