L’arte di Andrea La Rovere: Tra dissacrazione e ironia della società.

I libri sono solo il mio punto di partenza. Dai libri si aprono mille strade verso altre arti. Verso altre passioni. Le passioni sono persone ed è così che mi dò la possibilità di conoscere nuove persone. Condivisione è la parola chiave.  Proprio in una serata in occasione di una presentazione di un libro, lo scorso inverno ho avuto il piacere di vedere esposte delle opere di un giovane artista. Ero lì, quando la mia attenzione è stata rapita da una tela con Eva Kant e Diabolik.

Di lì a poco conobbi chi l’aveva realizzata: Andrea La Rovere, pittore di Montesilvano (PE) e abile riproduttore di figure reali senza maschere.                   Per una che come me non ama le convenzioni non poteva che essere interessante e colsi i punti in comune delle opere davanti a me: la società derisa e svelata nelle sue falsità, i social network come schermo e come mezzo di comunicazione che ci isolano illudendoci di non essere soli, la bellezza di donne artificiose che rivendicano una femminilità unica, la vera bellezza invece nelle lacrime della donna che non teme mostrare la propria fragilità e dolore e poi le automobili, il tutto tra giochi di luce azzeccati e pennellate di rosso che fanno da filo conduttore.  Voglio conoscere meglio Andrea La Rovere e scelgo di farlo in un’intervista che mi ha concesso e condivido con voi. Buona lettura!

Andrea che valore ha l’arte nella tua vita?

L’arte è il rifugio. Il posto dove sentirsi bene, dove tirare fuori quello che hai dentro e quello che vuoi dire. Detto questo è una parte della mia vita, non sono certo il tipo d’artista che vive solo per l’arte ed è in simbiosi con le proprie creazioni; sono anzi convinto che l’arte non vada forzata, perciò dipingo solo se e quando questo mi fa sentire meglio.

Com’è nata questa passione?

Non ho nemmeno cognizione del momento esatto. Mio padre era un bravissimo disegnatore, lavorava nell’ambito dell’alta moda, e aveva sempre matita e foglio sottomano. Per quello che ricordo ho sempre disegnato, poi la passione per la pittura vera e propria l’ho maturata intorno ai 12 anni dipingendo animali e automobili.

Da cosa deriva la scelta di affrontare il tema della comunicazione in modo trasversale nelle tue opere?

Dal fatto che ritengo la comunicazione, e in particolare i social, un mezzo potentissimo e altrettanto pericoloso, potenzialmente più delle armi tradizionali. Internet è nato come mezzo che favoriva la libertà nelle comunicazioni, i social sono nati essenzialmente come mezzo di controllo. L’uso che se ne fa ha fatto sì che si realizzassero le cupe distopie previste da Orwell e Bradbury, con la sola differenza che non c’è stato bisogno di una dittatura che le imponesse. Siamo anzi noi che ci diamo in pasto con il sorriso sulle labbra.

E perché l’esigenza di farlo in modo “non convenzionale” e dissacrante?

Non ho titoli per farlo in modo serio, e poi ritengo l’ironia e il sarcasmo molto più efficaci. Ma tanto è una battaglia persa, qualsiasi contributo sarà inutile.

Il colore rosso sembra quasi un filo conduttore. Una scelta o un caso? Ti serve per esprimere qualcosa?

In realtà sono il rosso, il bianco e il nero a ricorrere, per motivi meramente estetici e cromatici, specie nella serie dei codici a barre. Ma assolutamente non è un “must” nelle mie opere, tanto che attualmente mi sto muovendo su territori cromaticamente del tutto diversi.

Quando hai creato la prima opera?

Onestamente non saprei assegnare una palma di opera prima, forse alle elementari; quando a scuola scoprirono che sapevo disegnare bene, iniziarono a sfruttarmi per creare i cartelloni che riassumevano nozioni scientifiche e storiche. Come diceva De Andrè: “E poi se la gente sa, e la gente lo sa che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita e ti piace lasciarti ascoltare.”

Ce n’è una alla quale sei più legato? Se sì perché?

“Nevermind”, un ritratto di una donna in lacrime ma non sconfitta, indomita. Mi ricorda un periodo cupo della mia vita, è quasi un monito.

Progetti futuri? Continuare sulla stessa linea o magari pensi potresti svilupparne anche altre?

Sto lavorando a un progetto, che spero diventerà la mia prossima mostra, che unisce le mie passioni per la storia del rock e la pittura dei maestri del Rinascimento.

Ringraziando Andrea per la disponibilità, gli auguro buona fortuna per tutte le prossime creazioni e invito voi a seguirlo!

 

Un robot che pulisce ad opera d’arte

È il web lo spazio in cui si sta affermando anche la comunicazione dei grandi marchi.       E dal web partirà la nuova campagna “Cleaning in progress” della Rowenta con il lancio di un video virale dedicato al robot Rowenta Extrem’Air Motion.                           Il video, realizzato in collaborazione con Publicis, è stato girato al White loft di  Milano, adibita a sala di museo per l’occasione e mostra come, tra opere d’arte e spettatori, ad un certo punto arriva il Robot che si muove sul pavimento: aspira, aspira e aspira tanto che diventa possibile vedere le fondamenta della sala e il parcheggio sottostante. Si tratta di un’illusione ottica che lascia tutti sorpresi, colpisce l’attenzione e si di mostra in linea con l’idea creativa volta a mettere in risalto le qualità del prodotto: efficienza e potenza. Anche l’estetica è un elemento caratterizzante a cui il brand tiene da sempre e dunque, non è un caso che “si muova” tra opere d’arte.

In televisione si sta dando spazio al lancio di altri due prodotti come  l’aspirapolvere Silence Force Extreme e la scopa elettrica Air Force Extreme, il brand dimostra di riuscire ad ottenere ancora successi non solo grazie all’innovazione che contraddistingue la sua offerta ma anche grazie ad una comunicazione dispiegata su media classici e nuovi. Infatti, social network e web sono i mezzi sui quali punta questa campagna di comunicazione integrata, rispondendo alle esigenze di un rapporto diretto con i clienti.       Il video virale di cui vi ho detto creerà un forte buzz e si dimostrerà adatto a raggiungere gli obiettivi di promozione. Francesco Boromei, direttore Marketing di Seb Italia, ha affermato: “Il web crescerà. Abbiamo puntato a una comunicazione diversa, non legata al classico spot. Nel mondo digital abbiamo lanciato delle creatività ad hoc, con punti di contatto con blogger e youtubber che in questo mondo agiscono anche da opinion leader”.

La galleria d’arte più lunga del mondo è la metropolitana di Stoccolma

Scendere dalla metro e trovarsi in un ghiacciaio, attendere la prossima corsa con alle spalle lo sfondo di una necropoli, muoversi tra altri passeggeri, facce anonime e compagne del tempo quotidianamente consumato in quella che è una metropolitana ma anche la più lunga galleria d’arte  del mondo è possibile, è reale, è quello che accade a Stoccolma.          Sculture, mosaici e dipinti hanno pian piano arricchito questo spazio così esteso e insieme alla volontà di portare la gente ad avere un contatto diretto con l’arte, hanno dato vita ad un’impresa culturale senza pari.  Opere realizzate da più di 150 artisti dagli anni ’50 ad oggi sono visibili e ammirabili lungo tutto il tragitto, ad esempio alla stazione centrale, le pareti sono coperte di piastrelle e rilievi degli anni ’50, a quella di Kungsträdgården è stato allestito uno scavo archeologico con colonne romane. Gli scenari riprodotti, le istallazioni sono ben inseriti nella struttura, non appaiono come qualcosa di distaccato dall’ambiente. Non mancano i giochi di luce, soffitti di roccia ed effetti naturali. Le persone hanno la sensazione di vivere nell’arte.   L’arte è qualcosa di non statico, sempre in evoluzione proprio come i passeggeri, i viaggiatori, i turisti. La stessa metropolitana è il luogo dello spostamento. A  Stoccolma, offre un servizio impeccabile e contemporaneamente un’esperienza che coinvolge tutti i sensi.

Lasciare il mondo fuori, scendere quelle scale che portano in un mondo altro, colorato e a volte fantascientifico corrisponde proprio al meccanismo che tipicamente attiva l’opera d’arte, in questo caso però senza immaginazione.                                                         Frenesia, corsa e attesa diventano parole e situazioni che nulla hanno più in comune con l’idea di metropolitana. In Europa anche altre metropolitane offrono la possibilità di usufruire di “momenti d’arte”, con piacere mi viene da pensare che queste iniziative rappresentino occasioni di ritorno ad un vivere pacato, più intimo.                 Tutto questo passa attraverso la creatività. La creatività insieme alla volontà di curare e dare voce ai luoghi della nostra vita, riattiva il dialogo tra spazi e persone e la relazionalità tra persona e persona.

MIRO! Poesia e luce

“Lo spettacolo del cielo mi sconvolge.                                                                                 Mi impressiono quando vedo la luna crescente o il sole in un cielo immenso” . (Mirò 1959)

Questa frase dà il benvenuto ai visitatori della mostra Mirò! Poesia e luce al chiostro del Bramante a Roma. Racchiude l’essenza dell’arte di Mirò, mi ha anticipato a parole quello che mi sarebbe stato trasmesso di lì a poco attraverso le opere pittoriche: lo stupore per il mondo della natura, il fascino per il mistero della vita tra luci e ombre, la sensazione di piccolezza di fronte all’ immenso universo che ci circonda e il tentativo di comprenderlo, giocando tra scomposizioni e ricomposizioni.                                                               Spensieratezza e malinconia insieme.

L’esposizione è incentrata sulla produzione relativa al periodo a Palma di Maiorca, dal 1956 al 1983, anno della scomparsa dell’artista. Procedendo tra le opere, stelle stilizzate in asterischi, lune, soli appaiono come elementi ricorrenti tra linee cariche della passione per la calligrafia e l’arte orientale, forme colorate e schematiche .                                  

Triangoli,rotondità.  Rosso, giallo, blu. Schizzi a matita intecciati a quelli a tempera.                                                                                          

Esponente del surrealismo, anche lui attinge all’inconscio, al sogno e si lascia andare in un percorso senza coscienza dove lo porta il colore. Colore in senso materiale. Le macchie pesanti, l’impronta delle sue mani, il miscuglio di materiali diversi. Ispirato anche dall’espressionismo astratto americano infatti, Mirò sviluppa uno stile gestuale e dinamico, pittura anche con mani e dita, cammina sulla tela stesa sul pavimento e predilige anche formati più grandi.                                                                    La sensazione che ho provato è stata voglia di finirci dentro, buttarmi sul quadro per toccare quel colore, metterci le manie dentro.  L’intento di Mirò era quello di far provare una sensazione fisica per arrivare all’anima, l’ho letto solo dopo e direi che con me c’è riuscito.

La maggior parte dei quadri sono senza titolo, in linea con quel processo che fa dell’opera d’arte qualcosa di legato all’interpretazione di chi la vive, di chi la guarda. Ma alla fine del percorso tra le sale, mi ha assalita un’altra riflessione: Perché dare un significato, chiederselo? Credo non conti neanche quello soggettivo di me spettatrice.  Il valore sta nell’emozione, in ciò che si prova. Ed è ogni volta diversa.

Sagome e figure stilizzate si alternano all’opposizione bianco/nero.                              La intenderei come vita/morte, leggerezza/drammaticità.                                            

Una personalità serena quella di Mirò, eppure inquieta, in cerca.                                    Segni di colore schizzati sulla tela, con violenza, anche rabbia forse.                                    E poi, la mescolanza di materiali, tempera, legno, chiodi e tanto altro.

La parte più comunicativa della mostra è quella in cui è ricostruito, in parte, lo studio di Mirò, che offre un’idea di come lui lavorasse, spesso concentrato su più opere contemporaneamente .Un vero e proprio laboratorio in cui si circondava di oggetti di ogni tipo, dai giornali a piante, libri, pennelli e tanti altri strumenti dai quali attingere ispirazione.

“Niente è stupido e banale, tutto può essere trasformato. Ne può nascere qualcosa di meraviglioso”.                                                                                                                    L’arte permette di farlo con tutto ciò che si trova intorno e penso che Mirò volesse trasmettere l’idea di farlo anche con la vita.                                                              Sperimentare. Con passione, attenzione, e cura.

Art on Track: l’arte fuori dai luoghi comuni

Piante, fiori colorati ed erbetta, uno scenario green che accoglie le persone lontano dai luoghi urbanizzati: no, non è un parco o il paradiso terrestre, ma un giardino allestito proprio in uno dei simboli della grande città, la metropolitana.

Si tratta di una delle idee per il progetto Art on Track, in passato un altro lavoro aveva fatto diventare i valgoni dei “cinema mobili”. 

Chicago accogli da sempre con entusiasmo questa iniziativa, in fondo è la città per eccellenza degli spazi alternativi, in cui in tanti possono esporre le loro opere in luoghi non convenzionali.

Art on Track è un’occasione in più per performance e istallazioni: i vagoni della metropolitana diventano “spazi per l’arte”, che gli artisti possono allestire secondo svariate interpretazioni. Si vive un’esperienza unica, che tocca i sensi e influenza l’umore; l’arte non è preclusa a nessuno e tutti ne sono coinvolti.

Art on Track è sicuramente un curioso e accattivante esempio di marketing non convenzionale, segue una linea green e reinterpreta i luoghi della quotidianeità.