Io leggo perché … è autunno

Oggi entra l’autunno.

Sì lo so, come me in tanti leggono soprattutto d’estate, in viaggio o al mare, in giardino o in qualunque altro posto li ispiri insieme al relax della bella stagione. Eppure, chi legge saprà che un certo fascino ce l’ha anche l’autunno per coltivare questa passione. Chi legge, anche se con un po’ di malinconia pensa che dovrà passare ancora un anno per le soleggiate e calde giornate, sa che ad aspettarlo nelle prossime settimane ci saranno il divano e un plaid colorato, il caminetto acceso e una tazza di cioccolato. Mentre sfoglieremo le pagine dei libri che ci terranno compagnia, ci faremo scaldare dal calore della tazza in cui avremo versato la nostra tisana preferita oppure sceglieremo di non accendere la tv e sotto il piumone nel letto, ci trasferiremo con l’immaginazione in un’epoca lontana o su un’isola deserta.                                                                          Autunno significa anche nuove uscite, gli scaffali delle librerie si popolano di nuovi libri e viene programmano un calendario di presentazioni di autori da segnarci in agenda.   Le librerie torneranno ad essere un rifugio dalla pioggia o dal freddo mentre attenderemo che passi il prossimo autobus. Per non parlare delle biblioteche dove andare a studiare o leggere, uno degli ambienti che conserva sempre una magica atmosfera.

Oggi entra l’autunno e io non vedo l’ora di passare altri momenti con un libro in mano, magari anche autografato dal suo autore.                                                                     Oggi entra l’autunno e farò in modo che anche con la scrittura di dare spazio alla mia creatività, incrociando le dita magari per una nuova pubblicazione.

La feluca con le ali di Moira Di Fabrizio

“A chi conosce la profondità del mare, ma possiede ali per volare” è la citazione di Luana Noemi Mincone che racchiude il senso di La feluca con le ali di Moira Di Fabrizio. E Luna, oltre ad aver usato questa frase in riferimento all’autrice, ha anche creato un’immagine che è diventata quella usata per la copertina dell’ultima raccolta di poesie della giovane poetessa abruzzese.

Una feluca è una piccola imbarcazione usata in passato in Oriente e sulle rive del Nilo per contribuire al rifornimento di cibo, dunque contiene in sé le dimensioni ridotte ma pure la robustezza per un fine importantissimo. La feluca è però in grado di attraversare tutte le difficoltà della navigazione con leggerezza ed ecco dunque le ali. Luna ha alleggerito l’immagine della feluca attribuendole la capacità del volo. La feluca rappresenta la stessa Moira, che in questa antologia raccoglie le poesie di una vita, le sue sofferenze, le sue battaglie quotidiane ma anche la sua forza di affrontarle con speranza. E la speranza aiuta ad sentire un po’ più di spensieratezza.

Nella prefazione, Andrea Attilio Grilli scrive: La sua poesia è in bilico tra la materia e un orizzonte di sogni e speranza che l’autrice brama con potente forza emotiva.  Sono parole che ritengo perfette per descrivere la poesia di Moira, il suo essere poetessa. La poesia le appartiene, si percepisce. La poesia fa da ponte tra la realtà esterna e quella interiore. Se Moira non scrivesse poesie non avrebbe modo di farle combaciare, di essere presente nel mondo tangibile e di essere in contatto con quello interiore. Le poesie di Moira Di Fabrizio insegnano questo a tutti noi, a non separarci dal nostro Io, dalle nostre emozioni belle o brutte che siano. Vanno vissute a pieno altrimenti non possiamo sopravvivere alla realtà. Facendolo non sopravviviamo, ma viviamo davvero.

L’Amore è il tema centrale di La feluca con le ali, colto nelle sue diverse sfaccettature, da quello genitoriale, fraterno, dell’amicizia fino a quello del compagno della propria vita.  E  difficile scegliere una sull’Amore, ma posso riportarvi la seguente “Cielo e stelle”:

Sei la persona che voglio vedere prima di addormentarmi

E quella appena sveglia la mattina.

Sei la persona sulla quale spalla sorreggermi in qualsiasi caso…

Sei l’uomo in grado di sostenermi…

Sei l’uomo accanto al quale voglio vivere una vita serena…

Sei l’unica persona capace di capirmi solo con lo sguardo…

Siamo come il cielo e le stelle… Inseparabili!

L’Amore ha guidato la vita di Moira e continua a farlo ogni giorno senza sbiadirsi, senza affievolirsi ma alimentandosi da se stesso o forse, dalla stesse speranza ed energia che lei vi infonde.

E poi c’è la Natura. Forme, immagini e sentimenti sono spesso descritte dall’autrice tramite immagini della natura. La pioggia, le stelle, il sole, la terra, il mare sono parole chiave che si rincorrono di poesia in poesia per parlare anche di altro. Il male e l’indifferenza tra gli uomini è ciò che Moira con più fatica affronta, in una società dove troppo spesso si manca di sensibilità. Non mancano poesie nella quali questo è ribadito, come invito a ricordare ciò che dicevo all’inizio e cioè rivalutare l’emotività, porla al centro della vita per avvicinarci gli uni e gli altri e poter volare come una feluca.

Inni Metropolitani di G. Totaro

Ho tra le mani la copia autografata di Inni Metropolitani di Gianni Totaro, scrittore abruzzese nato a Ortona e già autore di Morgana (Tabula Fati_2013). Con la stessa casa editrice nel 2016 ha pubblicato questa nuova raccolta di poesie, esternazione dei suoi sentimenti e delle sue emozioni durante la vita di tutti i giorni.                                         Qualche angolo di pagina è piegato, qualche frase è sottolineata dal segno di una matita. Leggere poesie è questo per me, è cogliere quella parola che mi colpisce, che l’autore ha scelto per qualche suo motivo e che io stessa colgo. Il più delle volte senza coscienza del perché.                                                                                                                                           Totaro ha scritto d’impulso, poi ha riletto e selezionato con cura la forma ultima di ogni sua piccola opera. I giorni scorrono nella vita di Totaro, il tempo passa ma senza essere dimenticato, le stagioni si susseguono e le anime crescono. I panorami del mondo che lo circondano, incontri con le persone e momenti di solitudine si alternano da un’alba alla notte in un ciclo continuo.                                                                                                                 Totaro è come un fotografo che scatta una foto con i suoi occhi e immagazzina nella memoria tutto di quel momento: colori, luci e ombre, movimento, tensione e sentimenti. I protagonisti sono persone e luoghi, cene, abbracci, risvegli, dichiarazioni, case, sguardi e tutto ciò di cui si compongono le ore che scandiscono la giornata di ognuno di noi.  Poesie brevi le sue, un concentrato di sensazioni quotidiane e di visioni umane.  Leggere Inni Metropolitani è come essere nella vita di Totaro, davanti alla spiaggia di dicembre, alla sconosciuta senza nome, ai bambini presi per mano. Sembra di sentire la tempesta così come la pioggia. Totaro racconta di quello che i suoi occhi vedono e il suo cuore custodisce. Ci sovrapponiamo a lui perché sono le stesse cose che possiamo ritrovare nelle giornate della nostra vita.

Se dovessi scegliere una delle poesie, vi direi la seguente dal titolo “Non finirò”

Non finirò mai di cercare

Nell’eterea inconsistenza dei ricordi…

Baci passati,

sorrisi di nonni,

chiavi di porte smarrite,

quel senso a emozioni disperse

come scie d’oleadri su autostrade…

lascerò un bichiere non finito,

l’ultimo ordine sospeso

portato a tavola

quando sarò uscito.

“Ma le parole sono nuvole finché non trovano un’anima” cit.dalla poesia “Non è cambiato”. Concludo con questa citazione perché è quella che credo meglio possa invogliarvi a leggere Inni Metropolitani, a sentirvi leggeri come nuvole, a dare una voce alle vostre sensazioni.

 

La chiave della vita di Moira di Fabrizio

Ankh cosa significa? È un segno che simboleggia la vita, l’immortalità e auspica la vita eterna. Ha la forma di una chiave che costituisce il ciondolo della collana che Julienne riceve in dono dall’uomo che ama. Julienne è una giovane archeologa, protagonista di Ankh il libro del 2014 della scrittrice abruzzese Moira di Fabrizio.

Intorno a Ankh ruota la vicenda narrata tra viaggi di lavoro, ricerche nell’affascinante terra d’Egitto e un amore forte ma tenuto lontano che muovono i fili della vita della protagonista.

Moira con un’attenzione ai particolari, leggerezza e fascinazione riesce a far entrare il lettore nhel cuore della donna protagonista nata dalla sua penna ma anche nelle sensazioni del personaggio maschile che le pone accanto. Moira riesce a “sentirli” e a creare empatia con loro.

Sono personaggi vivi, appassionati e stretti dalle paure e ambizioni umane. Sono personaggi in tensione tra ciò che desiderano e ciò che credono di volere, tra un’energia da spendere per il loro lavoro e quella da regalare a chi amano, tra il presente nel quale si adoperano per essere ciò che credono e il futuro in cui saranno chi sono destinati a essere.

A dare un tocco in più per il coinvolgimento emozionale la scelta delle ambientazioni: Parigi e gli scavi in Egitto. Due mondi diversi ma entrambi luoghi eterni e pieni di fascino, calamite per chi vi vive nella realtà o leggendo un libro come questo. E se questi posti sono eterni lo siamo anche noi.

Credo che questo sia il messaggio che l’autrice voglia dare al lettore. Ankh è la vita e la vita non ha limiti. Si è presenti sempre, anche oltre se stessi.

Il libro si chiude con un finale che porta con sé una grande verità, un insegnamento a non rinviare nulla, a cogliere a pieno ogni momento della nostra vita.

“Una collana scende sul mio petto, oro il suo colore… Porta con sé la sua storia, che è anche la mia, mi sento più vicina… Ho quasi la sensazione di poterti toccare… Anche se mi scivoli tra le dita, come seta, so per certo che sei qui, vicino a me, per sempre!”

VENNE CHIAMATA DUE CUORI di Marlo Morgan

“È davvero sorprendente che dopo cinquantamila anni la Vera Gente non abbia distrutto le foreste, inquinato i corsi d’acqua, messo in pericolo alcuna specie vivente e causato alcuna contaminazione, senza restare mai a corto di cibo e riparo. Hanno riso molto e pianto pochissimo. Vivono un’esistenza lunga, produttiva e sana e la abbandonano pieni di fiducia”.

Questa citazione costituisce il cuore dell’ultimo libro che ho letto “La chiamavano due cuori” di Marlo Morgan, scrittrice americana che dopo aver passato un periodo della sua vita con una tribù di aborigeni australiani ha deciso di raccontare la sua esperienza più forte. Un’esperienza forte è quella che ti sorprende nel bene e nel male, che ti cambia, ti migliora e ti conduce alla scoperta di te stessa attraverso la scoperta degli altri.

La Vera Gente, come si definisce la tribù con cui ha vissuto, rappresenta l’altro, il diverso, la minoranza di una grande nazione come l’Australia. La Vera Gente è l’altro che custodisce segreti e soluzioni che noi non accettiamo o non vogliamo considerare. Eppure, come si evince dalla citazione riportata e dal libro, se tutti seguissimo il loro stile di vita anche solo in parte sarebbe possibile un mondo sano. Sano significa alimentato da un’armonia tra la natura e gli esseri viventi tutti, compresi gli umani. E’ vero, la Vera Gente è felice, non si ammala come noi, non reca danno alla natura e riescono ad avere tutto ciò di cui hanno bisogno. I bisogni sono gli stessi che noi ricerchiamo perdendoci però, invischiandoci in meccanismi lontani dal senso della vita.

L’autrice passa con la Vera Gente quattro mesi, nella foresta, a piedi nudi, a contatto con la terra e con quello che essa offre, acqua, animali, cibo o senza, perché la terra toglie anche nei periodi di assenza e allora bisogna sviluppare il senso dell’attesa e della ricerca oculata di ciò che soddisferà il bisogno.

“I miei nuovi amici mi prendevano così com’ero, mi facevano sentire dei loro, unica e meravigliosa. Stavo imparando a capire quello che si prova quando si è accettati senza condizioni né riserve”.

Ecco, la Morgan riscopre prima di tutto se stessa. Si accetta perché accettata, guardata da occhi che percepiscono il suo cuore, la sua anima. Quel rapporto essenziale che la Vera Gente le dimostra tra sentimenti, emozioni e salute.

“Questa gente crede che tutto sul pianeta esiste per una ragione precisa, uno scopo. Nulla è casuale, privo di senso o sbagliato”. E c’è una ragione perché Morgan si ritrova catapultata con loro, se il viaggio in Australia per ricevere un premio nel campo della medicina in cui lavora si trasforma in un viaggio alla comprensione di ciò che significa esistere.

“La chiamavano due cuori” non è un libro che si può raccontare, è un libro da vivere, da leggere assaporando più che la trama della vicenda gli spunti, gli insegnamenti, gli esempi e scegliendo di andare oltre, cambiando un po’ le nostre abitudini semplicemente per stare bene ed essere più felici.

Venti racconti vagabondi di R. Centorame

“…la felicità non dipende dal prezzo delle cose, ma dal valore che diamo a quel che abbiamo”.

Con questa frase si conclude uno dei racconti di cui si compone “Venti racconti vagabondi” di Roberto Centorame. L’ho scelta perché la sento molto mia, la considero vera e poi racchiude il senso che ho trovato di questo libro: la felicità. Sì la felicità, in quanto è questo il sentimento trasmesso di pagina in pagina, è il sentimento trasmesso di pagina in pagina, è il sentimento che ho provato leggendo, è il sentimento di chi lo ha scritto e vissuto.

Roberto Centorame con la stessa semplicità e familiarità con cui ti racconterebbe gli aneddoti della sua quotidianità stando a prendere insieme un caffè, descrive e racconta gli aneddoti della sua vita cogliendone la vera importanza, un significato e più prospettive. Riesce infatti a cogliere un evento da angolazioni diverse riportando i punti di vista delle persone a lui vicine, i protagonisti coinvolti. E poi possibile cogliere un messaggio, un senso nono solo nel diario di viaggio a Marrakech ma anche dal racconto di una rimpatriata con vecchi amici, di un appuntamento, di un incontro…

E quindi il valore, l’importanza: un fatto della quotidianità come ricchezza, con tutto ciò che dentro custodisce e insegna. Per farsi infine ricordo, che raccontato agli altri, come in una catena, fa provare emozione e fa pensare anche all’altro che ascolta o legge. Ecco la felicità, essa è veramente nelle piccole cose, in due occhi luminosi come quelli della bambina nel deserto incontrata dall’autore. Roberto trasmette questa felicità per gli accadimenti, della sua vita, qualunque siano con un’ironia che lo contraddistingue e che aiuta a sdrammatizzare anche le situazioni più difficili. E il lettore percepisce inevitabilmente tutto questo e spero, come è accaduto a me, desideroso di farne un atteggiamento anche suo.

Infine, ci tengo a ricordare che i proventi dei diritti d’autore di “Venti racconti vagabondi” andranno a favore dell’Associazione Fondazione Studi Celestiniani per la Pace, che opera in favore dei ragazzi che vivono nell’arcipelago delle Bijagos. Un motivo in più per cogliere l’occasione del viaggio-lettura di questo libro.

Recensione di Il cielo sulle spalle di G. Foresta

“Solo chi non guarda oltre, può limitarsi ad una azione banalmente visibile”.

Questa citazione tratta da “Il cielo sulle spalle” di Giovanni Foresta è quella a me più vicina. Nel mio libro “Oltre gli occhi” il concetto dell’oltre ne è la chiave di lettura, ritrovarlo in un libro di poesie è stato di nuovo occasione di riflessione. E Giovanni Foresta ne offre tanti di spunti sui quali soffermarsi e personalmente ricorderei questi temi: bene e male, il volo, il mare, i fili che legano le persone, lo specchio.

ulSicuramente, ognuno che leggerà “Il cielo sulle spalle” coglierà i propri temi. La forza di questo libro infatti, è che si propone come riflesso della vita di ognuno. Ogni lettore vi scorge e interpreta le parole, abilmente incastrate in versi liberi, secondo la sua prospettiva, secondo il proprio sentire, secondo la sua vita. E torniamo inevitabilmente all’oltre, al non soffermarsi allo sguardo in superficie delle cose e al relativismo. Perché non c’è un’unica verità, ognuno ha la sua. Mi permetto questa interpretazione e ricordando i temi colti che ho elencato in precedenza, mi soffermo di nuovo a considerare come siano allineati al mare che fa da sfondo ai protagonisti di “Oltre gli occhi” e ne racchiude emozioni, paure, segreti, ai gabbiani che volano e come ogni uomo devono scegliere se volare davvero, lo specchio che mostra all’ispettrice Claudia le sue paure, i fili invisibili che intrecciano le vite di più persone e il bene e male, opposizione che ho inteso come filo conduttore.

Quello che intendo far notare è  la mia piacevole scoperta di poter fare un parallelismo tra il mio libro un romanzo giallo e il libro di poesie di Giovanni Foresta. Diversi nella forma, nel genere eppure sovrapponibili. Dimostrazione di quanto la scrittura sia legata all’animo umano, dentro cui custodiamo tutti le stesse sensazioni.

Oggi sono 30.

30

Classe 1985. Oggi compio 30 anni. E io ai miei Trent’anni c’ho pensato poche volte a dire la verità, da bambina forse. Sai, quando ti chiedono “Cosa vuoi fare da grande?”  Allora me li immaginavo diversi. Così, anche se crescendo non c’ho pensato più, tutto quello che facevo era per essere la donna che avevo immaginato. Di cose ne ho fatte, di difficoltà superate diverse, caduta e rialzata sempre. In piedi ogni volta un po’diversa, perché inevitabilmente si cambia nel bene e nel male e questo significa crescere.

Da oggi entro a far parte anch’io di quella che definiscono l’età dei dubbi, della ricerca di un impiego gratificante, della sfiducia nello Stato, delle prime separazioni ma anche del consolidamento dei rapporti Veri, dei desideri di una vita da adulti, di una propria casa e indipendenza. 30 anni l’età in cui si vuole essere sinceri e onesti con se stessi e con gli altri.

Oggi compio 30 anni e se mi guardo indietro vedo un sacco di ricordi belli, scatti di foto di famiglia, persone che mi hanno accompagnata in questo viaggio e non ci sono più ma mi proteggono da Lassù e persone che non ho più vicino ma posso ancora sentire con una telefonata. Ho una scatola che raccoglie abbracci, sorrisi e pianti. Luoghi, case, treni, valige. Valigie cariche di emozioni, speranze e forza di continuare e provare. Nuove conoscenze e addii. Desideri realizzati con tutta me stessa, sacrifici e rinunce.

Questo è quello che è stato per me e per tanti. Ma compiere 30 per noi del 1985 ha un alone strano, perché le armi usate fino ad oggi per realizzare ciò che sentiamo non sembrano funzionare più. Non ci crediamo più ciecamente in quello che facciamo e se abbiamo un’idea, ora che siamo grandi, più maturi e consapevoli finiamo per scontrarci con una realtà un po’ diversa in cui il senso del dovere non è sempre premiato, dove i sacrifici fatti non ci stanno portando dove speravamo. Sono fiera della donna che sono, dei desideri realizzati ma sono molto dispiaciuta per sentirmi molto disillusa come tanti altri miei coetanei. Ci sentiamo spesso troppo lontani da quello per cui abbiamo dato tanto.     Io stessa mi ritrovo con tutte le battaglie vinte ma sento di aver perso la guerra. Perché se a trent’anni non puoi progettare il tuo futuro con quello che dovresti avere tra le mani dopo tutto quello che hai fatto, non senti di avere un’età non definita? Di essere un te stesso ancora senza una forma?

Da trentenne vorrei avere la possibilità di progettare il mio futuro come fatto a 20 anni.    Da trentenne negli affetti tengo solo chi c’è davvero e decido di lasciar perdere tutti gli altri, in amore dico sì solo se ha la A maiuscola e allo stesso modo nel lavoro non voglio accontentarmi delle briciole raccolte, ho seminato e vorrei un frutto. Non voglio dire “c’è chi sta peggio”. Con tutto il rispetto per chi sta peggio per carità, a 30 anni senza ipocrisie e con schiettezza voglio dire : No, non conosco gli altri, io conosco solo me stessa e la mia storia. Non ho fatto confronti con gli altri né a 10, né a 20 anni non vedo perché dovrei iniziare a farlo ora. A 30 c’è bisogno di concretezza e schiettezza. A trent’anni non ti devi ancora scoprire, sai quanto vali e sai che sei in grado di metterti in gioco. Sempre.            E allora perché adattarsi, perché accettare ciò che si ha se non basta? Non ho pianto e gioito per questo, non sono caduta e rialzata per qualcosa che sia un’accettazione inculcata. A trent’anni vorrei cambiare il mio presente, vorrei avere desideri per le mie giornate, piccoli sogni quotidiani che non mi facciano rimpiangere di avere dedicato tempo a studio e progetti. Vorrei essere una trentenne senza il timore che un rapporto di lavoro non sarà rinnovato ogni tot mesi oppure, senza la consapevolezza che se dovesse cessare, per trovarne un altro le difficoltà sarebbero forti. Vorrei che il mio lavoro mi gratificasse o almeno, non facesse il più delle volte uscire il peggio di me, ma crescere e migliorare. Non vorrei essere una trentenne che per paura di perdere ciò che ha, accetta e basta. A 20 anni e nemmeno a 25 l’ho fatto. A 30 mi ritrovo diversa con questo atteggiamento di rassegnazione che non mi piace.                                                                 C’è chi risponde ai trentenni come me che è tempo di adattarsi a quello che ci tocca vivere. Ma io a 30 anni vorrei riprendere contatto con la Sonia che ne aveva 20, riscoprire un po’ del sogno delle possibilità, quel famoso e caro altrimenti possibile della contingenza. Vorrei  provarci ancora un po’a cambiare questo mio presente.

Addio, O Capitano, mio Capitano!

Questo blog si regge sull’idea di andare oltre, di tener conto delle diverse prospettive d’osservazione. Io ho sempre avuto una certa debolezza, in positivo, nei confronti di questo concetto. Questa mattina mi sono ricordata qual è stato il primo momento in cui ho pensato che fosse una strada coraggiosa e accattivante da considerare nella vita. Quel momento risale alle scuole medie, all’aula più grande della scuola, al buio mentre veniva proiettato un film. Quel film era “L’attimo fuggente”. Ero piccola e non credo l’avessi compreso a pieno, eppure aveva già lasciato il segno. Visto e rivisto, penso mi darebbe ancora qualcosa anche se lo vedessi di nuovo. E lo farò.

Stamattina ho appreso, appena quasi sveglia, mentre mi sedevo sul letto e accendevo la radio, che il suo attore protagonista è morto. R. Williams ha scelto di passare Al di là dei sogni. Sì, voglio immaginarmelo proprio così, in un mondo colorato e fantastico come nel film omonimo. Altra toccante e speciale pellicola che mi lega a un altro ricordo personale di un po’ di tempo fa.

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Attore poliedrico, protagonista di tantissimi film che hanno accompagnato la vita di almeno tre generazioni, lo vorrei ricordare con questo post scegliendo di parlare del suo film a me più caro ed in linea con la visione della vita che traspare su “Oltreloscoglio”.

Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino. Noi Leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana. E la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento. Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita.

 “L’attimo fuggente” (il cui titolo originale è Dead Poets Society) è un film di Peter Weir  del 1989  ispirato ad un libro ormai introvabile se non in qualche biblioteca o scaricabile su Internet, ambientato in un collegio maschile del Vermont nel 1959. La severità e la forte ispirazione tradizionalista, subiscono una scossa all’arrivo del nuovo professore di lettere J. Keating, che si approccia agli allievi in un modo più colloquiale, confidenziale e basato sul confronto. Incita i ragazzi a credere nel valore dell’arte, della poesia e della creatività. Soprattutto, nella forza delle idee.

Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo.

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Il suo entusiasmo li contagia, fino a renderli più sicuri di se stessi e prendere coscienza dei desideri che hanno e della voglia di provare a realizzarli. Quando, i ragazzi scoprono che il loro professore era stato membro della setta dei Poeti estinti, le danno nuova vita incontrandosi per leggere testi di importanti scrittori e integrandoli con loro creazioni letterarie, senza fermarsi mai davanti ad un’unica interpretazione.

Ma se ascoltate con attenzione, li sentirete sussurrare il loro monito. Avanti, avvicinatevi. Ascoltate, lo sentite? – Carpe – lo sentite? – Carpe, carpe diem, cogliete l’attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita!

Tra loro, un allievo ha forti ispirazioni verso il teatro e contro il volere del padre recita con successo in Sogno di una notte di mezza estate di W. Shakespeare. Manifestare al padre la sua passione per la recitazione lo porta ad un ennesimo scontro in cui gli viene preannunciato che sarà subito iscritto ad un’accademia militare. Il giovane, sconvolto da quello che lo aspetta e sentendo di non potersi opporre al volere del genitore, si suicida. Il professore, ritenuto responsabile per aver incitato il ragazzo ad opporsi al padre, viene allontanato dalla scuola. La scena finale lo ricompensa però di tutto: tutti gli allievi salgono sul banco pronunciando la frase “O capitano, mio capitano!” dimostrando di essere legati ai suoi insegnamenti e coscienti del valore della libertà da lui trasmesso.

Il senso della vita.

L’anticonformismo.

Il valore di ciascun individuo.

Questi i temi cardine del film, in cui R. Williams con magistrale interpretazione coinvolge il pubblico oltre lo schermo. È accattivante il professore per i suoi allievi, è accattivante per lo spettatore. Attori e spettatori è come se fossero presenti nella stessa aula, sugli stessi banchi ad ascoltarlo in piedi sulla cattedra.

Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a veder voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva.

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G. Faletti Rincontrarti tra le tue pagine

Oggi oltre lo scoglio un velo di tristezza.

Ricordo ancora quel week end di tanti anni fa, i libri sulla scrivania e il non riuscire a studiare, anche per mangiare solo spuntino veloce. Perché ? Perché avevo tra le mani “”Fuori da un evidente destino” e come drogata dovevo leggerlo, andare avanti tra quelle pagine altrimenti non sarei riuscita più a fare nient’altro. Non era un libro di poche pagine, ma in due giorni lo terminai. In due giorni ero stata nuovamente in compagnia della sua scrittura, in sua compagnia. Mi mancherai, tanto.

ii

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre che ti vengono a cercare.                    Non le hai scelte e nemmeno le vorresti, ma arrivano e dopo non sei più uguale. A quel punto le soluzioni sono due: o scappi cercando di lasciartele alle spalle o ti fermi e le affronti. Qualsiasi soluzione tu scelga, ti cambia, e tu hai solo la possibilità di scegliere se in bene o in male.”

(da Io Uccido di Giorgio Faletti)