Se la notte ti cerca di Romano De Marco

Un libro, per me, funziona quando ti tiene incollato, ti richiama appena ti occupi di altro che non sia leggerlo. Un libro, funziona quando pagina dopo pagina desideri scoprire cosa accadrà. Un libro funziona quando inizi a sentire una dissociazione tra la vita e reale e l’immedesimazione nel mondo raccontato tra quelle pagine.

Un po’ tutte queste cose sono accadute a me durante la lettura di “Se la notte ti cerca” (Piemme) di Romano De Marco. L’ultimo thriller dello scrittore abruzzese, è un viaggio nella Capitale descritta tra luci e ombre, in giorni nei quali si dispiegano le indagini per una serie di omicidi di donne affidate alla squadra del Commissario Laura Damiani. Qualcosa lega le vittime e qualcosa lega loro anche alla giovane poliziotta: la solitudine. Un sentimento che si allarga nell’animo come una macchia ed elimina confini tra il mondo fuori e quello interiore. La solitudine crea altra solitudine.

La solitudine spinge a cercare altro, a buttarsi nel vuoto in un disperato tentativo di sentirsi ancora vivi. Ogni vittima cerca una parte persa di se stessa o sempre rincorsa e sarà un’unica persona a sintonizzarsi con questa loro esigenza. O forse, non solo… infatti posso semplicemente invitare il lettore a prestare attenzione in particolare agli stati d’animo di tutti i personaggi che incontrerà. Ognuno di loro ha una sua storia, un suo passato che inevitabilmente lo porta a essere chi è e ad agire in un certo modo. Il cerchio dei diversi personaggi è costruito dall’autore come una cornice in cui può muoversi Laura intessendo con loro rapporti di antagonismo o alleanza. Laura Damiani costituisce il fulcro del romanzo, non è solo un Commissario ma anche una donna, non è solo lavoro ma anche emozioni buone e cattive, disillusioni e speranze, paure e coraggio. Laura è lo specchio che riflette le sfumature del carattere degli altri personaggi e dello stesso lettore. E’ capitato più di una volta che leggessi parti dedicate ai suoi pensieri e mi sia sentita in sintonia con lei. E allo stesso modo con Claudia, l’investigatrice dei miei romanzi, una specie di cugina di Laura, simili per tanti aspetti. Penso che un personaggio funzioni quando ha questa capacità e la sua catarsi è un po’ la catarsi di chi legge.

Vi consiglio di inoltrarvi tra le pagine di “Se la notte ti cerca” con in sottofondo la musica di Danny Losito, cantante italiano che negli anni Novanta scalò le classifiche europee fino agli Stati Uniti e alla cui musica e vita ha tratto ispirazione Romano De Marco per questo thriller. La musica è un elemento essenziale, dà voce, accompagna e si allinea con lo stile di scrittura, con il ritmo a tratti più veloce o più lento della narrazione di pari passo con gli stati di pathos e suspance. E sarà così che quando anche il vostro campanello suonerà, vi avvierete verso la porta, senza sapere davvero a chi aprirete perché inevitabilmente un leggero brivido in una tale situazione questo libro ve lo susciterà.

Il cuore in tasca e i ricordi in valigia di A. Moretti

“Gli scrittori hanno sempre la testa altrove,

altrove da che cosa non si è ben capito, ma la testa non è lì, sulle loro spalle.”

 

Con queste parole d’introduzione le premesse per me non potevano che essere ottime per la lettura dell’ultimo libro della scrittrice Andreina Moretti. Per non parlare del titolo “Il cuore in tasca e i ricordi in valigia”. Infatti, ho convissuto tutta la vita, e lo faccio ancora ora, con una mente altrove e con momenti in cui chi mi è accanto mi chiede dove io mi trovi davvero e sebbene a volte non sia semplice spiegarlo, ho imparato a considerare e riconosce questo fatto come una parte di me. Io sono così, non sarà un caso che mi piace scrivere, fantastico e mi faccio domande e cerco risposte da sempre.

E poi, ho avuto per lunghi anni una valigia come migliore amica, carica di oggetti e sogni, di fatiche, sacrifici e gioie. L’empatia con l’autrice è scattata da subito ed è continuata di pagina in pagina.

La storia raccontata potrebbe essere quella di molti, quando in un momento della vita nella quale convivono verità e segreti, il male viene a galla e scombussola tutto, non solo smaschera i “colpevoli” ma fagocita anche l’esistenza degli “innocenti”. Accadde tutto in una notte, quando Daria, la protagonista, fu svegliata dalla polizia che cercava suo marito. Lei era cosciente che l’uomo che aveva accanto non era un santo e negli ultimi tempi i suoi comportamenti erano peggiorati ma davanti agli agenti della Digos considerò che dovesse essere invischiato in qualcosa di veramente pericoloso. Da quella notte, Daria perse tutto e quando le offrirono la possibilità di allontanarsi da Milano e trasferirsi sulla costa abruzzese non poté che accettare. Fu un nuovo inizio per lei pieno di sorprese che la portò a sperare e sognare di nuovo che la felicità potesse esserci anche per lei.

E la speranza si percepisce anche nel modo di scrivere dell’autrice, in quanto è come se le parole scelte, lo stile ora più lento ora più veloce, si adattino alle emozioni raccontate, ai momenti descritti empatizzando con i personaggi, i luoghi e il lettore. Il lettore che si sente condotto nel viaggio raccontato e investito del ruolo di raccogliere i messaggi, le crude verità e gli affanni da affrontare senza soccombere.

Dopo l’ultimo momento di gioia della protagonista, come troppo spesso accade nella vita come in un cerchio si susseguono cattive sorprese a gioie inaspettate. Daria si ritrovò di nuovo sola e senza più nulla fino a sprofondare sempre più ma tenendo duro. Il suo grande coraggio non l’ha mai abbandonata, ci si è aggrappata sempre. Una donna coraggiosa è quella che ha conosciuto Andreina, che nel libro racconta del suo incontro con Daria e delle loro chiacchierate, ripercorre a ritroso la storia che le ha raccontato e se ne fa portavoce. Perché una donna che sa ascoltare, una donna che sa leggere nell’animo delle persone e scrive è soprattutto questo: testimone di storie di vita e voce per chi non riesce o non può farsi sentire. Il valore del libro “Il cuore in tasca e i ricordi in valigia” è racchiuso in questo concetto, un proposito importante per chi come Andreina attraverso la scrittura, da bambina silenziosa che era, è diventata una donna con una capacità di raccontare unica e con una gran voglia di gridare verità.

Cosa le tiene sveglie di M. Crescenti

“Le tre ragazze legate ruotano insieme, dopo un giro completo immerse nell’acqua, torneranno ai loro posti a riprendere ossigeno. Chissà delle tre, se ce n’è una che è morta?”

Tre ragazze, un macchinario della tortura e una corsa contro il tempo.                        Queste sono le chiavi di lettura di Cosa le tiene sveglie (Il Novecento Editore, 2017) l’ultimo libro di Marina Crescenti, giallista di Pavia e già autrice di Le lacrime del Branco, E’ troppo sangue anche per me e altri romanzi.

Leggere Cosa le tiene sveglie significa prendere parte a un progressivo scatenarsi di emozioni, più che la vicenda a reggere il tutto e a coinvolgere il lettore sono proprio le sensazioni, i pensieri, i sogni e gli incubi dei personaggi.

E’ la storia della scomparsa di tre ragazze, finite nelle mani di chissà chi, divorate dalla sua follia e imprigionate in una specie di “opera d’arte” del male alla quale non sappiamo fin quando potranno resistere, ogni respiro che emanano sembra l’ultimo. Eppure, chi le imprigiona non sembra aspirare alla loro morte ma alla loro sofferenza, allo strazio del dolore e per questo devo stare sveglie.

Il tema della scomparsa, mi è caro in quanto l’ho affrontato anch’io nel mio primo libro e riviverlo tra le pagine di Marina è stato come riconoscere sensazioni affrontate, le peggiori perché non esiste nulla di più sconvolgente del non sapere, del chiedersi se le vittime siano ancora vive o meno, se ci sia ancora tempo per loro, se si possa fare qualcosa per sottrarre ad un destino già segnato. E’ logorante.

Ad accrescere questa sensazione, Marina ha aggiunto una consapevolezza che il lettore ha di pagina in pagina e cioè che loro sono tenute sveglie. Ritengo che crei ancor più tensione, il lettore sa, non può però comunicarlo agli altri personaggi, non può fare coraggio agli investigatori. È la squadra investigativa del Commissario Luc Narducci, che i fan di Marina conoscono già, a indagare sulle tre ragazze scomparse e a lottare anche per le loro battaglie personali. È da loro inoltre, che la scrittrice prende spunto per attimi di sollievo dalla narrazione, i loro caratteri, i dialoghi con qualche battuta ironica, alleggeriscono la tensione. Un po’ come nella vita reale in cui per fortuna, anche le situazioni più difficili sono toccate da barlumi di umanità e sorrisi.

I ragazzi, il dolore e la guerra. Cosa le tiene sveglie è un giallo, un genere che a mio avviso è indissolubile dall’essere specchio della realtà e occasione di riflessione. Si può scegliere di leggerlo partecipando alla vicenda, restando inorriditi di fronte alle costruzioni letterarie che attingono al male, la faccia nascosta di ognuno di noi, per poi saziarsi del finale oppure si può anche pensare: quanto aver vissuto la guerra in prima persona può influire sulla mente di giovani uomini, quanto l’istigazione al male può mandare in tilt la mente e avvicinare al meno umano? Sono le vicende che si vivono, l’ambiente in cui si cresce a “formare” una mente folle? Oppure, è qualcosa di genetico a cui non si sfugge? Non troveremo le risposte certo ma quando la lettura di un libro genera dubbi, penso sia andato già oltre, ha toccato qualcosa nel lettore, ha fatto vibrare corde interiori stabilendo un legame unico tra lui e l’autrice.

Marina Crescenti, torno a sostenere, che in Cosa le tiene sveglie si sia davvero lasciata andare al fluire della sua fantasia, intessendo una trama meno articolata rispetto ad altre sue creazioni, lasciando spazio a immagini e sensazioni che si succedevano e la intersecavano alle vite dei personaggi. Lo stile è fluido, veloce e coinvolgente proprio come le azioni della vita reale della quotidianità.

 

 

Condominio 78 di Alessio Masciulli

Per chi scrive un libro è come posto in cui gettare tutte le proprie emozioni, dove scaricare paure, rabbia, indignazione ma anche passione, gioia, gratitudine, speranza e coraggio. Chi scrive sa che questa passione è un’esigenza come mangiare e respirare e soprattutto è la via di salvezza. Scrivere permette di superare i momenti brutti, di essere sollevati dal macigno delle emozioni peggiori, di abbracciare le sensazioni più belle e indescrivibili.

Tenersi dentro tutto non fa stare meglio, tanto vale svuotarsi e farlo scrivendo è uno dei modi migliori.

Questo è scrivere per me. Questo è scrivere anche per Alessio Masciulli e nel suo ultimo romanzo Condomino 78 (Masciulli Edizioni) si mette a nudo, si racconta e si mostra senza filtri. L’autore abruzzese può vantare già una grande spontaneità e schiettezza d’animo, ma in questo romanzo esprime ancor più tutti i suoi pensieri.

I pensieri vengono letti attraverso brevi racconti, momenti vissuti da lui, incontri fatti, storie di altri uomini e donne, passando per i pilastri della sua vita, i genitori, gli amici d’infanzia, la nonna fino al racconto attraverso i luoghi, i ricordi e i sogni.

Lo stile è leggero, quasi colloquiale come fossimo davvero a berci qualcosa in compagnia di un amico e le chiacchiere toccano argomenti diversi. Il punto di forza di Condominio 78 è questo: essere un libro vivo, un libro fatto di persone, i protagonisti di cui si parla ma in primis del lettore e dell’autore. Avete capito bene, ogni lettore diventa protagonista perché interlocutore dell’autore che si percepirete come compagno di confidenze e non potrete nella vostra testa fare a meno di dire la vostra, di rispondere e commentare.

Scrittura come un luogo dicevo e non è un caso che il titolo faccia riferimento a un condominio. Un condominio in cui in ogni appartamento c’è qualcuno che custodisce e vive la sua storia. Il 1978 è l’anno di nascita di Alessio e dunque, l’autore che si racconta e osserva e nel farlo si fa portavoce non solo dei suoi pensieri e emozioni ma anche di quelli di altri. In Condominio 78 ho trovato Alessio ancora più sincero, più arrabbiato, ma anche fiero, sofferente ma anche gioioso, dispiaciuto per ciò che non è stato e pieno di positività grazie a ciò che ha realizzato e verso nuovi sogni.

In un condominio le famiglie si amano, litigano, si sostengono, si ignorano, c’è il bello e il brutto della quotidianità, c’è la vita vera. Ecco perché in questo libro lo stesso autore racconta la vita vera, episodi che fanno sorridere e scaldano il cuore ed altri che fanno dispiacere o rabbrividire, il tutto nella riconoscenza verso il miracolo che è l’esistenza.

 

IL GIGLIO INSANGUINATO di Anna M. Pierdomenico

Una donna ha in sé il femminile ma anche il maschile. Ed è proprio il maschile che credo attragga di più. Questa mia considerazione è stata rafforzata mentre leggevo “Il giglio insanguinato” (0111 Edizioni) di Anna Maria Pierdomenico. Non è un libro sugli uomini e le donne ma un giallo storico abilmente intessuto con un linguaggio scorrevole e lineare, tra intrighi del papato e della Corte di Francia il tutto nel passato Seicento.

Sono i romanzi a offrirci la migliore lettura dell’umanità ieri, oggi e sempre. Anna Maria come nell’altro suo romanzo “Rebecca- La figlia del diavolo” (Tabula Fati), pubblicato successivamente a Il giglio insanguinato, fa ruotare l’intreccio intorno ad una figura femminile. Prima di Rebecca la protagonista nata dalla penna di Anna Maria è stata Fiamma. Fiamma è una spia del braccio destro del Papa, affiancata dal fedelissimo fratello Giulio e attingendo alle sue spiccate capacità come la dialettica, l’astuzia e la caparbietà abbatterà ogni ostacolo con eleganza, che sia un uomo, una donna o una situazione ostile.

Nel Seicento, le donne erano quasi invisibili se non nei loro ruoli ritenuti canonici dalla società del tempo, quindi affidare a un tale personaggio le indagini la riconosco come una sfida che l’autrice si è posta, direi una sfida vinta perché la scoperta del colpevole dell’assassinio di un Arcivescovo a Parigi credo non sarebbe così accattivante di pagina in pagina se non ci fosse Fiamma.

Il giglio insanguinato è un concentrato di emozioni, passioni, di sentimenti violenti e nobili. Di uomini dai mille segreti e dalle debolezze celate dietro i ruoli sociali. Sguardi rubati, relazioni clandestine, corteggiamenti e fughe. E poi è anche la celebrazione di una forma d’amore che non ha eguali come quello tra sorella e fratello di cui Fiamma e Giulia sono l’esempio perfetto.

Per tornare alla principale riflessione che il romanzo mi ha suscitato e di cui dicevo prima, il maschile che è in Fiamma è rappresentato dalla sua audacia e scaltrezza, da un coraggio e una forza d’animo ma anche da un’abilità fisica il tutto contenuto da un’indipendenza d’animo e lealtà, che se pur macchiata da sangue di morti date, sotto l’aurea del femminile rappresenta la sua essenza. Attingere agli aspetti ritenuti più maschili per una donna può rappresentare il suo lato vincente, quel qualcosa che attrae e ti brucia proprio come una fiamma. Il giglio insanguinato è rivolto a un pubblico eterogeneo, ma soprattutto a lettori che vorranno fare un viaggio in un tempo passato e nelle emozioni umane.

L’uomo di casa di Romano De Marco

È un tardo pomeriggio di agosto, riprendo tra le mani il libro che mi ha fatto compagnia nelle ultime settimane, lo sfoglio, c’è un po’ di sabbia tra le pagine e penso di condividerlo con voi. Si tratta di un thriller, “L’uomo di casa” dello scrittore abruzzese Romano De Marco. Ho avuto il piacere di conoscere l’autore, tra i più apprezzatati per il suo genere in occasione di una presentazione e la curiosità da quel momento si è protratta nei momenti di relax di questa estate.

Pagina dopo pagina “L’uomo di casa” prende il lettore per mano e gli mostra come in un film la storia di un crimine che ha le radici nel passato. Si susseguono le immagini suscitate e il racconto dei fatti risalenti a trent’anni prima e quelli di una vicenda attuale. L’enigma irrisolto della Lilith di Richmond, caso relativo il rapimento e l’uccisione di sei bambini a Richmond, in Virginia, per mano di una donna svanita nel nulla e il caso della morte di Alan, ritrovato nella sua auto con la gola tagliata. Il racconto rievoca l’orrore dei protagonisti di allora e la rabbia di chi indagò ma non riuscì a chiudere il caso, come Gina Cardena e lo sconforto della protagonista di oggi Sandra, moglie della vittima.

Che cosa unisce un ingegnere dalla vita perfetta, un padre e un marito presente e amorevole alla Lilith di Richmond? Chi era Alan? Davvero era solito frequentare prostitute? Possibile che sua moglie non sapesse nulla? Cosa potrebbe aver scoperto che gli è valsa la vita?

Queste le domande che il lettore si pone proseguendo nella lettura, le stesse di Sandra. Si crea un’empatia sottile con la protagonista, con lei che da un giorno all’altro non sa più chi era l’uomo che aveva accanto e che forse potrebbe essere ognuno di noi, perché in realtà non conosciamo mai tutto dell’altro… I dubbi di Sandra sono quelli di una donna, di una moglie, di una madre che deve superarli insieme al dolore per se stessa e per sua figlia, l’adolescente Devon.

Un giorno, Sandra scopre che il marito possedeva dei documenti relativi a quel caso e proprio quando fa questa scoperta subisce un’aggressione e tutto il materiale scompare: Sandra capisce che qualcosa di più grande di lei unisce Alan a una vecchia storia e per sapere la verità inizia a cercare chi può saperne di più. Da qui l’incontro tra le due donne, poli emblematici di questo thriller, Sandra e Gina.

“L’uomo di casa” è un thriller al femminile proprio perché la prospettiva dominante secondo la quale sono osservate e filtrate le vicende narrate è quella delle donne: Sandra, Gina, Devon, le vicine di casa, la fantomatica Lilith… De Marco riesce a usare gli occhi delle donne, a giocare con gli sguardi e l’opposizione visibile-nascosto. Troviamo quest’ultima anche negli elementi dell’immaginario americano quali la casa, scrigno degli affetti e dei segreti familiari, le finestre dietro le quali si nascondo gli sguardi dei vicini, le strade dei quartieri e tutte quelle ambientazioni che ci sono familiari grazie alla cinematografia ma che l’autore ha visto e vissuto in prima persona e riporta con facilità sulla pagina scritta. La capacità di raccontare è sostenuta da uno stile fluido, leggero e stimolante e da una tensione e una curiosità tenute sempre ad un livello pari all’intensità della scena narrata.

“L’uomo di casa” è perfetto se amate il genere, lo è anche se semplicemente desiderate leggere qualcosa di intrigante dove la ricerca della verità non è nelle mani dei poliziotti ma in una donna come noi, con le nostre stesse insicurezze e il nostro stesso coraggio. Questo credo sia il punto di forza de “L’uomo di casa”, l’essere così vicino ad ogni lettore, alla parte più intima e nascosta di ogni persona.

CREDI IN ME di Alessio Masciulli

Ho voglia di sognare ancora un po’

Che il giorno arriverà

E farò sognare con la musica

Così dimostrerò

Che nei sogni ci si deve credere

Così ti dimostrerò la grande forza della musica

[—]

Ti prego credi in me

Ti prego credi in me

Senza te il mio sogno non ha più importanza ormai

Questo è uno dei brani contenuti in Credi in me, l’ultimo libro di Alessio Masciulli.              È infatti la musica la grande protagonista, con le sue parole e i suoi suoni, con le emozioni e la forza che genera. La musica, grande passione di Andrea, il personaggio principale, che sogna di diventare un cantautore di successo, di fare della musica la sua vita. Ma la sua vita è già piena di musica perché la sua passione lo accompagna ogni giorno e la storia di come cercherà di realizzare il suo sogno si dispiega di pagina in pagina. Parallelamente, si sviluppa la vicenda di Stefano che lavora in una casa di produzione musicale o meglio, ci lavorava perché davanti all’ultimo talento non riesce a mettere in atto la solita procedura che tratta aspiranti musicisti come oggetti di guadagno. Questa scelta però cambierà la sua e non solo di vita. Le vicende di Andrea e Stefano procedono di anno in anno nel racconto, parallelamente, tra incontri con altri personaggi, scelte, sofferenze e momenti più sereni, piccole soddisfazioni e rivincite, fino a quando s’incroceranno. E allora cosa accadrà?

Ma diverse questioni pone questo romanzo, come da che cosa nasce una passione? Cosa può accendere in ognuno di noi una fiammella dentro che arde solo se alimentata dal coraggio di tentare tutto per non spegnerla? È sicuramente qualcosa di difficile da descrivere, ma che permette di sopportare tanto, di non mollare in quanto tenere accesa quella fiamma diventa essenza della propria vita.

“Questo è il potere della musica, il potere di guardare oltre.”

Ogni arte, non solo la musica, ha la qualità di permetterci di non fermarci solo a ciò che vediamo. Al di là delle cose visibili facilmente c’è un mondo di possibili, altre migliaia di verità e prospettive da cui guardare la realtà. L’arte permette di non considerare unica solo la nostra verità. L’arte non è mai uguale a se stessa, esprime l’unicità delle persone. Ecco che spesso Andrea rifiuta di fare cover di canzoni di altri, vuole essere se stesso, vuole cantare solo le sue canzoni. Così, arriva a noi che leggiamo un altro messaggio, un invito a non essere la cover di nessuno ma a scegliere di essere l’originale.

Un altro tema forte in Credi in me è l’amicizia. Infatti, il sodalizio di Andrea con il suo migliore amico è essenziale per il suo sogno, gli dà forza, gli permette di crederci anche quando lui stesso non ci crede più. E poi le donne, anche loro hanno un ruolo importante, Claudia e Sara per Stefano e Angela e Serena per Andrea. In entrambi i casi, una emerge come antagonista al sogno e l’altra come sostenitrice.                                           È importantissimo chi abbiamo accanto, è importantissimo non curarsi di chi esprime negatività, perché sostenere non significa illudere ma dare coraggio e se anche il sogno non dovesse avverarsi, si è cercato in due di tenere accesa quella fiamma. E poi se non c’è condivisione forse, il raggiungimento del sogno ha più senso. Credi in me mi ha fatto pensare che a nulla è paragonabile una gioia condivisa. Per cui lasciatevi trascinare da Alessio Masciulli, dal suo stile veloce e fresco di scrittura, fatevi prendere per mano nel seguire come Andrea deciderà di non mollare. E poi, vedrete troverete il coraggio di anche voi di continuare a credere nel sogno della vostra vita. Unico e solo vostro.

Ga(y)o di Paolo Ciufici

A Sonia, per la pacata attenzione alle parole, per gli occhi che leggono silenziosamente l’anima. Grazie per la fiducia.                                                                                                        Con affetto,                                                                                                                                    Paolo

Questa è la dedica che mi fece Paolo Ciufici quando acquistai il suo libro, la scelgo per introdurre la recensione di Ga(y)o_Milena Edizioni perché è l’espressione più autentica della sua sensibilità. Qualità confermata pagina per pagina, parola per parola mentre leggevo. In un sabato di marzo, mentre viaggiavo in treno e per tutto quel weekend mi ha accompagnata e fatto compagnia. I personaggi nati dalla sua penna mi hanno rubato sorrisi, riflessioni, gioie ed emozioni.

Ga(y)o racconta la storia d’amore di due uomini che si incontrano per caso ad una festa, s’incrociano i loro sguardi e poche parole tra loro ma in quell’attimo è tutto già scritto. Il protagonista Gaio è lui a raccontarsi, da quando nasce a quando cresce attraverso i momenti cruciali della sua infanzia e gioventù, il rapporto speciale con la madre e quello più conflittuale con il padre. Seguire la crescita di Gaio penso permetta a chi legge di ripercorrere anche la propria vita, ancora di più se si è cresciuti leggendo autori latini e greci, se si sono passate le vacanze estive alle prese con le versioni da tradurre, se ci si è sentiti sempre un po’ da un’altra parte con la mente, con la fantasia. Se si è deciso di colorare le giornate, i sogni e le paure, delle tonalità pastello di un certo romanticismo-nostalgico.

I personaggi secondari non sono da meno. La madre di Gaio è un concentrato di melanconia celata dalla quale trovare però la forza per aggiungere al proprio carattere solarità, empatia e sostegno. Gli amici di Gaio, con le loro vite, l’evolversi dei loro caratteri e delle loro giornate nel tempo. Tom con tutta la sua energia, parte complementare e specchio per Gaio che nella relazione con lui trova l’essenza della felicità, quella dell’essere visto davvero e amato senza chiedere nulla.

“Io intanto vivevo l’amore come un dono. Un dono che emoziona, che lusinga, che arricchisce, che impegna.”

La scrittura di Paolo è elegante, nella ricerca delle parole, nella scelta delle battute nei dialoghi, nelle pause e nell’alternarsi delle tempistiche, quelle che danno spazio alla leggerezza e quelle che danno spazio all’emozione profonda, fino al dolore e alla speranza.

La speranza, sì. La speranza che nelle piccole cose si possa trovare sempre la felicità se lo vogliamo. La speranza che basta una cena con gli amici per sentirsi ricchi, la speranza di essere amati per ciò che si è, la speranza di poter trovare l’amore, la speranza di custodirlo per sempre nel nostro ricordo. La speranza di continuare a vivere, sempre al di là di tutto, al di là del bene e del male che la vita ci offre.

Ho chiuso il libro tra le lacrime, non mi sono mai commossa con un libro, lo ammetto.

Paolo deve essere riuscito a toccarmi in un punto dell’anima dove nessun altro scrittore era mai arrivato. Proprio lui, che nella dedica mi aveva scritto che io leggo l’anima, ha fatto meravigliosamente lo stesso con me attraverso il suo libro.

Non posso che consigliarvene la lettura, magari in un giardino ai piedi di un ciliegio in fiore come tanti ce ne sono in questi giorni di primavera.

“L’amore guarirà tutto. Lì dove la scienza non può arrivare, arriva l’amore.”

Rebecca – La figlia del diavolo di Anna M. Pierdomeni

“Se potessi tornare indietro lo ucciderei proprio allo stesso modo.”

Fu in quell’istante che Michael capì. “Tu ne eri innamorata.”

Lei abbassò lo sguardo e non rispose, lui si avvicinò e le pose la mano sulla spalla.

“Non è stata colpa tua.”

“Sì lo è stata.”

 

Riporto questo breve scambio di battute tra Rebecca e Michael, tratto dall’ultimo libro che ho letto Rebecca – la figlia del diavolo (Tabula Fati), perché in esso è racchiuso tutto.

C’è la passione, l’amore, odio, la fiducia, il tradimento, la paura, il senso di colpa, la vendetta, il valore del tempo, l’amore e l’odio.    E queste sono le tematiche che si rincorrono dall’inizio alla fine in Rebecca – la figlia del diavolo di Anna Maria Pierdomenico. L’autrice mi ha tenuta prigioniera del suo racconto come se fossi stata catturata sulla nave di Rebecca, la piratessa protagonista. Anna Maria ha, con astuzia, calcolo e semplicità, tessuto una trama sapientemente studiata, intrecciata e arricchita da continui colpi di scena.    Lo stile è avvincente, il linguaggio non improvvisato ma realistico. Ogni dettaglio sembra tangibile, pare di aver davanti ogni oggetto, le navi maestose, le armi, il mare da solcare e poi pare di essere immersi nell’ambiente, di sentire le spade che stridono a ogni colpo. Si è protagonisti delle battaglie insieme ai personaggi. Questi ultimi sono stati costruiti con un carattere e un modo di fare che sembra di conoscerli, in primis Rebecca.

Rebecca, soprannominata la figlia del diavolo, per la sua ferocia e scaltrezza, è la piratessa della nave Esperia che vive con un solo scopo: salvare il padre che è stato fatto prigioniero di un invalicabile fortezza. È pronta a tutto. Eppure una donna così decisa e senza scrupoli, ha un cuore profondo e le debolezze di ogni essere umano. Rebecca pagherà per essersi fidata della persona sbagliata e ciò la renderà ancora più vendicativa ma nello stesso tempo comprenderà il valore della sua vita e delle persone che l’hanno amata davvero.

Personalmente, sono stata travolta da questo personaggio, trascinata nelle sue sensazioni, nella sua sofferenza, nei suoi dubbi e nel suo coraggio. E infine, Claudia de Angeli, la protagonista del mio libro Oltre gli occhi (Acar Edizioni) mi è parsa una lontana cugina di Rebecca e forse anche per questo l’empatia è stata ancora più forte.

Vi consiglio vivamente dunque, di leggere Rebecca – la figlia del diavolo , perfetto nelle prossime giornate più soleggiate verso la primavera magari davanti all’orizzonte del mare.

L’amore è per noi di Francesca D’Isidoro

Alessio e Vittoria.  Si amano. Si rincorrono. Si lasciano.  O meglio, lui lascia lei per sposare un’altra. O meglio ancora, lui lascia lei che ama per sposare un’altra che non ama. Direi che questo potrebbe bastare per incuriosirvi e indurvi a leggere “L’amore è per noi” (Edizioni ilViandante_2016) di Francesca D’Isidoro, giovane e brillante scrittrice pescarese al suosecondo romanzo. Il primo è stato “L’amore non è per tutti”, elaborato e scritto alla fine di una storia d’amore per lei molto importante. E alla luce del successo che ha avuto, è stato l’ennesima dimostrazeione di quanto la scrittura possa essere terapeutica e utile all’elaborazione delle emozioni. E soprattutto di quanto, mettere se stessi in un’opera, permetta davvero forse di arrivare di più al lettore. “L’amore è per noi” mi ha fatto compagnia in una settimana un po’ difficile anche per il mio cuore, ma le disavventure, l’ironia e la simpatia dei personaggi creati da Francesca non mi hanno fatto perdere il sorriso. Alessio e Vittoria si muovono tra le pagine come fossero sullo schermo della tv e tu puoi seguire la loro avventura accoccolata sul divano con le patatine in mano. Scrittura e immaginazione filmica si intrecciano. Il desiderio di scoprire cos’altro s’inventerà Alessio per riconquistare Vittoria, faceva sì che smettessi di fare altro in casa per sbirciare qualche altra pagina. Quello che vi ho anticipato è solo un antefatto, tutto il libro è incentrato invece sui tentativi che Alessio dovrà compiere per riprendersi il suo Amore. E come dice l’autrice nelle presentazioni: un uomo davvero innamorato può essere capace di tutto. Francesca è stata in grado di calarsi nei anni di un maschio, per di più di un maschio che torna sui suoi passi, che si rende conto di aver sbagliato e si rimette in gioco con tutto se stesso. E’ stata davvero brava. La capacità di conferire ad un personaggio un carattere come ha fatto Francesca, e non solo con Alessio ma con tutti i personaggi che gli ruotano intorno, ritengo sia una grande capacità. Francesca penso sappia attingere da ciò che la circonda ogni giorno aspetti e dettagli, immagazzinandoli in un cassettino del suo cuore per usarli poi nella rielaborazione creativa.“L’amore è per noi” si legge in maniera fluida, è un libro fresco e accattivante, allegro e intimo nello stesso tempo. È scritto con un linguaggio che arriva, diretto e lineare. “L’amore è per noi” è vero e sincero. Augurandovi di scegliere questo libro come prossima lettura da non perdere, chiuderei con una citazione che ho apprezzato tantissimo:

“Questo è l’amore. Quello che abbiamo costruito insieme è l’amore. Anche tutti gli sbagli che abbiamo commesso, sono l’amore, perché alla fine ci hanno sempre riportato al punto di partenza: a noi due. L’amore siamo noi, semplicemente. E l’amore è per noi. Ora lo so.”