Mostra “Picasso tra cubismo e classicismo: 1915 – 1925”

Lo scorso sabato è stata una giornata soleggiata e calda a Roma, perfetta per una giornata fuori porta tra le meraviglie della Capitale e le sale del Quirinale allestite per la mostra “Picasso tra cubismo e classicismo: 1915 – 1925”. La mostra intende rievocare i cento anni dal soggiorno di Picasso in Italia, quando nel 1917 giunse a Roma e Napoli insieme al poeta Jean Cocteau e il musicista Igor Sravinskij al seguito della compagnia teatrale dei Balletti Russi e con la sua compagna e futura prima moglie Ol’ga Chochlova.  Non sapevo che Picasso avesse curato i costumi del balletto e le scenografie, in particolare dello spettacolo Parade, per i quale ha ripreso le ispirazioni legate al circo né sapevo quanto Picasso si fosse dedicato ai temi delle maschere, ricorrenti sono infatti quelle di Arlecchino e Pulcinella. L’influenza dell’arte Classica, della tradizione e del teatro popolare e delle maschere della Commedia dell’Arte sono state così decisive da fargli iniziare a sperimentare successivamente stili diversi e la tecnica del collage. Con questa tecnica più elementi prelevati dalla realtà venivano inseriti nel quadro. Le opere nelle quali emerge di più l’influenza italiana sono quelle dedicate a una simultanea rielaborazione degli stili del passato, ad un’assimilazione dell’antico molto personale e al ritorno dell’arte come testimonianza.

Nella mostra sono presenti più di cento capolavori tra tele, disegni, fotografie, lettere autografe e altri documenti e tra i quadri ricorderei Ritratto di Olga in poltrona (1918), Arlecchino (1917), Natura morta con chitarra, bottiglia, frutta, piatto e bicchiere su tavolo (1919), Due donne che corrono sulla spiaggia (La corsa) (1922), Il flauto di Pan (1923), Saltimbanco seduto con braccia conserte (1923), Arlecchino con Specchio (1923), Paulo come Arlecchino (1924) e Paulo come Pierrot (1925).” 

Conoscevo invece meglio, il Picasso cubista, esponente del movimento artistico degli inizi del ‘900, proteso alla riorganizzazione dello spazio pittorico potenziando la sintesi plastica delle forme e moltiplicando i punti di vista, fino a frantumare l’oggetto.              La mostra è stata interessante proprio per avermi offerto informazioni sull’artista catalano che non sapevo e nello stesso tempo mi ha fatto apprezzare i dettagli più noti delle sue opere come le linee sciolte in bilico tra fluidità e rottura, il realismo stilizzato dei disegni, la monumentalità dei nudi, l’estetica della frammentazione e i contorni marcati.  “Picasso tra cubismo e classicismo: 1915 – 1925” è stata una mostra che mi ha coinvolta, emozionata e fatto riflettere. Come ritenevano gli esponenti delle Avanguardie tra i quali il Cubismo, l’arte agisce sulla sensibilità delle persone e può promuovere un rinnovamento. L’arte non è qualcosa di esterno alla vita ma influisce profondamente su chi guarda e può farsi portavoce di non solo di valori estetici ma anche etici.

 

 

L’arte di Andrea La Rovere: Tra dissacrazione e ironia della società.

I libri sono solo il mio punto di partenza. Dai libri si aprono mille strade verso altre arti. Verso altre passioni. Le passioni sono persone ed è così che mi dò la possibilità di conoscere nuove persone. Condivisione è la parola chiave.  Proprio in una serata in occasione di una presentazione di un libro, lo scorso inverno ho avuto il piacere di vedere esposte delle opere di un giovane artista. Ero lì, quando la mia attenzione è stata rapita da una tela con Eva Kant e Diabolik.

Di lì a poco conobbi chi l’aveva realizzata: Andrea La Rovere, pittore di Montesilvano (PE) e abile riproduttore di figure reali senza maschere.                   Per una che come me non ama le convenzioni non poteva che essere interessante e colsi i punti in comune delle opere davanti a me: la società derisa e svelata nelle sue falsità, i social network come schermo e come mezzo di comunicazione che ci isolano illudendoci di non essere soli, la bellezza di donne artificiose che rivendicano una femminilità unica, la vera bellezza invece nelle lacrime della donna che non teme mostrare la propria fragilità e dolore e poi le automobili, il tutto tra giochi di luce azzeccati e pennellate di rosso che fanno da filo conduttore.  Voglio conoscere meglio Andrea La Rovere e scelgo di farlo in un’intervista che mi ha concesso e condivido con voi. Buona lettura!

Andrea che valore ha l’arte nella tua vita?

L’arte è il rifugio. Il posto dove sentirsi bene, dove tirare fuori quello che hai dentro e quello che vuoi dire. Detto questo è una parte della mia vita, non sono certo il tipo d’artista che vive solo per l’arte ed è in simbiosi con le proprie creazioni; sono anzi convinto che l’arte non vada forzata, perciò dipingo solo se e quando questo mi fa sentire meglio.

Com’è nata questa passione?

Non ho nemmeno cognizione del momento esatto. Mio padre era un bravissimo disegnatore, lavorava nell’ambito dell’alta moda, e aveva sempre matita e foglio sottomano. Per quello che ricordo ho sempre disegnato, poi la passione per la pittura vera e propria l’ho maturata intorno ai 12 anni dipingendo animali e automobili.

Da cosa deriva la scelta di affrontare il tema della comunicazione in modo trasversale nelle tue opere?

Dal fatto che ritengo la comunicazione, e in particolare i social, un mezzo potentissimo e altrettanto pericoloso, potenzialmente più delle armi tradizionali. Internet è nato come mezzo che favoriva la libertà nelle comunicazioni, i social sono nati essenzialmente come mezzo di controllo. L’uso che se ne fa ha fatto sì che si realizzassero le cupe distopie previste da Orwell e Bradbury, con la sola differenza che non c’è stato bisogno di una dittatura che le imponesse. Siamo anzi noi che ci diamo in pasto con il sorriso sulle labbra.

E perché l’esigenza di farlo in modo “non convenzionale” e dissacrante?

Non ho titoli per farlo in modo serio, e poi ritengo l’ironia e il sarcasmo molto più efficaci. Ma tanto è una battaglia persa, qualsiasi contributo sarà inutile.

Il colore rosso sembra quasi un filo conduttore. Una scelta o un caso? Ti serve per esprimere qualcosa?

In realtà sono il rosso, il bianco e il nero a ricorrere, per motivi meramente estetici e cromatici, specie nella serie dei codici a barre. Ma assolutamente non è un “must” nelle mie opere, tanto che attualmente mi sto muovendo su territori cromaticamente del tutto diversi.

Quando hai creato la prima opera?

Onestamente non saprei assegnare una palma di opera prima, forse alle elementari; quando a scuola scoprirono che sapevo disegnare bene, iniziarono a sfruttarmi per creare i cartelloni che riassumevano nozioni scientifiche e storiche. Come diceva De Andrè: “E poi se la gente sa, e la gente lo sa che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita e ti piace lasciarti ascoltare.”

Ce n’è una alla quale sei più legato? Se sì perché?

“Nevermind”, un ritratto di una donna in lacrime ma non sconfitta, indomita. Mi ricorda un periodo cupo della mia vita, è quasi un monito.

Progetti futuri? Continuare sulla stessa linea o magari pensi potresti svilupparne anche altre?

Sto lavorando a un progetto, che spero diventerà la mia prossima mostra, che unisce le mie passioni per la storia del rock e la pittura dei maestri del Rinascimento.

Ringraziando Andrea per la disponibilità, gli auguro buona fortuna per tutte le prossime creazioni e invito voi a seguirlo!

 

Gemme dell’Impressionismo

Tra le nature morte di Cèzanne, i paesaggi di Manet, i prati primaverili di Sisley, le donne di Renoir e i colori di Van Googh ho passato il tempo sospeso nelle sale accoglienti ed allestite in modo familiare e raccolto della mostra Gemme dell’Impressionismo, presso il Museo dell’Ara Pacis a Roma. Un’occasione che non potevo farmi scappare, dato che per la prima volta 68 dipinti della National Gallery of Art di Washington, sono esposti fuori dai loro confini e Roma è l’unica tappa europea.

È stato nel 1936 che nacque questa collezione grazie alle donazioni del collezionista e magnate Andrew W. Mellon.

Il movimento dell’Impressionismo nacque in Francia intorno al 1870 a partire dal rifiuto dell’accademismo che improntava le opere ammesse al Salon, esposizione istituzionale che costituiva all’epoca la più importante rassegna d’arte. L’invenzione della fotografia, dei nuovi colori per la pittura e l’intenzione da parte degli artisti di non dipingere più rinchiusi in uno studio sono state condizioni essenziali per nascita dei questa corrente artistica.

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Nella mostra sembra di passeggiare tra i caffè di notte, i differenti valori delle luci, ballerine e musicisti, camini, battelli e tanti altri soggetti legati ai tempi moderni delle opere di Degas. Sembra di osservare da dietro un angolo solitario la folla dei boulevards parigini,  i luoghi di campagna e il tempo libero dei cittadini raffigurati da Manet.

Paesaggi naturali.

Immagini femminili in contesti e pose naturali, in atteggiamenti familiari.

Oggetti e scene della vita quotidiana.

Scorci e ritratti di amici.

La stessa donna diventa protagonista dei quadri, senza quella aura di perfezione delle forme del passato, senza intenti celebrativi o forse celebrata nella sua essenza naturale, pura.

È l’impressione di ciò che si guarda in quel momento a finire sulla tela. Linee per nulla nitide, luci e ombre, pennellate veloci e sovrapposte.                                             L’interesse fondamentale era rivolto all’osservazione diretta e alla resa della luce: i quadri dovevano essere realizzati en plein air, all’aria aperta mentre i colori dovevano essere puri e luminosi.                                                                                         Preminenza della sensazione visiva e il senso dell’istante, della mutevolezza del momento rappresentato. L’occhio guarda l’insieme e la mente ne è rapita, comunicando alla mano il disegno espresso dal pennello.

Veduta come simbolo di una realtà interiore.

Una realtà interiore portata fuori, manifestata, analizzata senza nasconderla e senza porle regole, attraverso la pittura e assecondata dalle evoluzioni letterarie come nelle liriche poetiche di Boudelaire.

La mostra si conclude con una rassegna di frasi dei diversi pittori, relative alla loro intenzione e visione di ciò che facevano e intendevano comunicare.

Vi consiglio di fare questo viaggio, di immergervi nel loro mondo, di staccare per qualche ora da tutto e farvi catturare lo sguardo dai loro colori, luci e opere che rispondono alla cattura del tempo, dell’istante goduto in pieno.

Gemme dell’impressionismo sarà ancora ospitata dal Museo dell’Ara Pacis fino al  23 febbraio 2014.

Empire State: New York e critica urbana

La città, centro nevralgico di cambiamenti e forme sociali e materiali, è sempre stata oggetto privilegiato di osservazione per l’arte, dall’epoca industriale alla modernità.  Riflessione, risemantizzazione e ricerca di ulteriori significati dei simboli e delle tendenze in essere.                                                                                                                 Rappresentare e interpretare i risultati delle azioni sociali, politiche ed economiche.      Città e comunicazione: un binomio indissolubile.                                                                  Ad esso si aggiunge l’arte contemporanea e la sua forza espressiva.

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La città come spazio di distribuzione del potere è il tema della mostra EMPIRE STATE ARTE A NEW YORK OGGI, che mi ha coinvolta lo scorso week end, nel percorso espositivo del sempre affascinante Palazzo delle Esposizioni a Roma.                           Il titolo evoca Empire, titolo del fondamentale saggio di Antonio Negri e Michael Hardt  sul capitalismo globale guidato dagli Stati Uniti (2000), nonché la canzone Empire State of Mind  (2009), coinvolgente inno a New York.  È dedicata a venticinque tra i più noti artisti viventi newyorkesi di diverse generazioni attivi nei cinque distretti metropolitani e nelle aree periferiche e extraurbane della città che riflettono sul ruolo che riveste oggi la Grande Mela nel mondo. Tra essi ricordiamo John Miller, Nate Coman, Ryan Sullivan, Jeff Koons e la Toyota Ruby Franzier.

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Critica istituzionale, analisi del rapporto tra economia e media, discesa in un abisso di inquietudini della vita urbana.                                                                                                Gli artisti prediligono l’uso della tecnologia abbinata all’ astrazione, dando forma attraverso una pluralità di linguaggi a video, installazioni, fotografie e sculture. Gli occhi degli artisti capovolgono il mondo e ci insegnano a“pensare al contrario” , a scoprirne molteplici prospettive di osservazione.

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E se New York si rivela per loro un’eccellente mondo in cui generare nuove idee, con tutte le sue contraddizioni e nel pieno flusso informe e senza riferimenti interpretativi della contemporaneità, anche Roma (città ospitante) può riflettere i suoi cambiamenti tra tradizione e modernità.  In questo, la stessa Roma si fa spazio che accoglie un processo artistico per renderlo visibile e se ne fa palcoscenico. E nello stesso tempo, usa quel processo come specchio attraverso cui riflettere su se stessa. In fondo, l’arte è sempre stato questo, con la sua valenza sociale: critica e risposta agli stimoli, costruzione elaborata della vita sociale attuata dall’interno del contesto culturale di riferimento.

Seguire il percorso segnato dalle opere degli artisti dell’Empire è stato stimolante ed impegnativo, a volte ha lasciato dubbi e totale incomprensione, eppure come ogni spettatore, anch’io  ho fatto la mia esperienza individuale.  Mi riferisco a quella compiuta da ogni individuo quando è di fronte ad un’opera, nella propria totale autonomia che gli permette di attualizzare la potenzialità di senso e significato a partire dagli stimoli cognitivi, dei sensi e delle percezioni che partono dall’opera stessa.

La mostra, per chi non ha ancora avuto il piacere di visitarla, resterà a Roma fino al 31 luglio 2013.

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Newton: scatti di nudi e libertà

Mostra «Helmut Newton. White Women / Sleepless Nights / Big Nudes»

La linea sinuosa della schiena, con lo sguardo fisso in camera.                                     Nude, vestite solo della loro bellezza, tra arredamenti e spazi esterni, le donne fotografate da Helmut Newton (Berlino 1920- Los Angeles 2004) sono tutt’altro che modelle, soggetti di foto e oggetti di un voyerismo a cui chi guarda è inevitabilmente condotto. Uomo o donna che sia. slide_1_free (1)Sono stati quasi 200 gli scatti che si sono susseguiti davanti ai miei occhi durante la visita alla mostra dedicata al fotografo di moda più provocatore del periodo che va dagli anni Sessanta e Ottanta, ma direi che lo sarebbe anche oggi: top model, ma anche Paloma Picasso, Loulou de La Falaise, storica musa di Yves Saint Laurent e Andy Warhol sono stati immortalati da lui al limite di quello che può essere definito come scandaloso. Eppure, oltre i loro corpi spogli all’ombra della Tour Eiffel, bloccati da busti ortopedici, accostati a manichini, stesi o in piedi come sculture, c’è altro.

Una donnslide_1_free (6)a sul piedistallo consapevole di sé come non mai. Un’ambiguità di fondo di cui erotismo e morte non sono che due aspetti della stessa ricerca di verità. Un continuo rimando tra femminile e maschile, tra sfrontatezza dell’opera e pudore dello spettatore. Libertà. Una libertà dai vestiti che interpreta la libertà da convenzioni e un’emancipazione crescente.

Nel libro «White Women» (1976) il fotografo porta il nudo nell’estetica fashion aprendo la strada ad una erotizzazione delle immagini legate al mondo della moda.

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In «Sleepless Nights» (1979) Newton trasforma progressivamente le immagini da foto di moda a ritratti e da ritratti quasi a reportage di cronaca. È un volume a carattere più retrospettivo che raccoglie in un’unica pubblicazione i lavori realizzati per diversi magazine («Vogue», tra tutti).

In «Big Nudes» (1981) con cui Newton raggiunge il ruolo di protagonista nella fotografia del secondo Novecento, le sue modelle vengono ritratte sistematicamente fuori dallo studio, in strada, spesso in atteggiamenti sensuali, a suggerire un uso della fotografia di moda come puro pretesto per realizzare qualcosa di totalmente differente e molto personale.

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Nel mio viaggio tra nudità esplicita, sottolineata da dettagli come scarpe rosse, una pelliccia o calze,  erotismo, sadomasochismo e feticismo, quello che in conclusione direi che emerge è un senso di libertà, sussurrata quasi in modo imbarazzante a chi osserva o semplicemente guarda. E credo che sia stato questo il messaggio di Newton, rivolto sì al mondo dei desideri umani, passando per il senso della vista, ma anche alla mente pura, priva di condizionamenti. La mente più adatta a seguire la sua creatività, tra follia, irriverenza e visioni immaginarie.

“Se c’è qualcosa che odio è sicuramente il buon gusto: per me è una parolaccia” (Helmut Newton)

Antichi poster e installazioni moderne per i 150 del London Tubem

Fascino, efficienza e un forte valore simbolico fanno della metropolitana di Londra, la più antica al mondo, un elemento cool e sempre al passo con i tempi, tra passato, presente e futuro, ecco perché il suo compleanno va festeggiato in modo speciale.

Il London Trasport Museum fino al prossimo 27 ottobre espone meravigliosi esempi di arte urbana “pubblica” affissi fin dagli esordi del Tube, si tratta di poster recuperati da antichi archivi.  Tra i molteplici oggetti protagonisti troviamo acquerelli ai primi esperimenti tipografici e solide volumetrie in stile pubblicitario, legati soprattutto ad eventi culturali, sportivi o di intrattenimento.

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 Per i 150 anni del London Tubem è stato ideato anche un progetto di installazioni chiamato “Art on the Underground”: artisti inglesi e internazionali sono stati chiamati a celebrare l’evento con una serie di opere e installazioni ad essa dedicate.

Il tema del labirinto è riproposto da Mark Wallinger nella sua collezione di grafiche “sotterranee” per l’esposizione all’esterno della metropolitana. Infatti, ad ogni fermata è stato posizionato un poster raffigurante un labirinto, per un totale di 270 labirinti diversi.

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Ogni labirinto di Wallinger è come se ricordasse al passeggero che “Per quanto possa essere affollata la metropolitana, c’è sempre un via d’uscita“.                                          Il labirinto rappresenta un’immagine di uno spazio articolato, apparentemente complesso, eppure, seguendo il percorso giusto e le indicazioni che si offrono ai passanti, ha la sua via di uscita.

Vie diverse s’intrecciano e si confondono, ma ognuno ha la sua mappa mentale per attraversare e scoprire la città e il London Tubem ha e avrà ancora a lungo un ruolo centrale in questa esperienza.

Urban Knitting: il gomitolo della creatività sciolto in città

Nel 2005 due donne da Houston si sono riuniti e formarono il gruppo “Knitta” con l’idea di mostrare il loro lavoro a maglia e uncinetto di monumenti, arredo urbano e di altri luoghi pubblici.

Filati, colore, strutture cittadine in veste insolita sono gli elementi chiave dell’Urban Knitting che ultimamente sta invadendo anche Roma. Questa forma d’arte d’origine americana è nota anche con il nome di Yarn Bombing e in linea con la logica “guerrilla” non è autorizzata, è messa in atto in modo non convenzionale e anonimamente.         La prima artista e’ considerata Magda Sayeg che nel 2005 ricoprì la porta del suo negozio con un patchwork di lavoretti ai ferri.

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Anche in Europa quest’arte che riscopre l’uncinetto ha preso piede, a Vienna è stata la segnaletica stradale e un’intera fontana ad essere interamente ricoperti, a Londra le note cabine telefoniche, come pure Valencia e altre città spagnole e in Australia e Nuova Zelanda.

Nella primavera dello scorso anno l’associazione aquilana Animammersa composta cinque artisti ha attuato questo tipo d’iniziativa, colorando e riscaldando il centro storico con la lana,per richiamare l’attenzione sul territorio in occasione del terzo anniversario del sisma. Mentre a Genova è da segnalare il progetto Intrecci urbani, primo grande importante evento di yarn bombing in Italia organizzato dalle istituzioni.

Attualmente è Roma a essere ingrovigliata da fili di lana colorati: alberi e transenne del quartiere Prati sono i protagonisti del grigio inverno conferendo tocchi di colore e vivacità. L’idea è venuta a Eleonora Diamare, giovane laureata che aiuta spesso anche i genitori nella merceria di famiglia, che si è appassionata per caso a questo movimento artistico ed è riuscita a coinvolgere anche i proprietari di altre attività commerciali e donne giovani e più anziane che in questo periodo sono a casa senza lavoro. Nessuno ha guadagnato nulla, anzi si sono autotassate per pagare alcuni contributi ma l’iniziativa ha avuto successo.

Urban Knitting dunque è tutto questo: materiali semplici che possono essere recuperati. Facilità nell’eventuale rimozione. Entusiasmo.                                                                                                               Luoghi diversi persone diverse e distanti tra loro ma unite da un filo colorato dello stesso gomitolo: quello della creatività.

Doisneau e il bacio tra Parigi e Roma

Roma. Uscita della Metro e piazza Repubblica sullo sfondo. Eccola la mia amica, con un taglio di capelli nuovo, cortissimo e l’eyeliner a sottolineare due occhi magnetici. Nativa della città eterna e di ritorno da Londra, oggi pronta a viaggiare verso Parigi.    La mostra di Doisneau ci aspetta.

Al palazzo delle Esposizioni l’allestimento è sobrio, essenziale e non segue un ordine cronologico: le foto del più illustre rappresentante della fotografia umanista in Francia dagli anni ’70 riescono da sole a riprodurre gli scenari che apparirebbero in una reale passeggiata per Parigi.

“Un’immagine non deve essere nè perfetta nè accademica. Bisogna lasciare la porta socchiusa per far entrare l’imperfezione che suscita il fattore emotivo” .                 Robert Doisneau

Emozione è la prima parola che mie è venuta in mente durante la visita alla mostra.      Bianco e nero.                                                                                                         Sfumature dei grigi come sfumature di sensazioni e atmosfere.                                  Doisneau aveva una forte capacità di narratore e testimone di un tempo andato, ma eterno che suscita curiosità e affascina ancora oggi. Credo fosse molto empatico, come ogni artista e le sue foto per questo riescono a comunicare efficacemente con chi le guarda. Il percorso di cui io e la mia amica ci sentiamo protagoniste segue i temi a lui più cari, in primis l’amore e trovarsi di fronte a al famosissimo Bacio Hotel de Ville fa un certo effetto, ma ancor più sorprendersi e farsi catturare da foto meno note. 34doisneau.tif                 In ognuna è possibile scovare un particolare che solo chi sa che è racchiuso nella normalità può scovare.     Doisneau sapeva inquadrare l’eccezionale del normale, rendendo eterni attimi sfuggenti, momenti persi nella quotidianità di una città così speciale come Parigi.                                                                                                                       Il lungo Senna, la Ville Lumière, i bistrot, gli atelier, i giardini e le gallerie d’arte, spazi popolati da gente comune, innamorati, bambini, operai e celebrità.                                 A farci soffermare di più sono state le foto in serie, quasi delle “costruzioni” come quella dei Passanti in Place de la Concorde che sfidano il traffico o quella di foto che si aprono come finestre di un palazzo. 2 (1)I bambini sono colti mentre fanno acrobazie o attraversano in fila una strada o si tuffano con sullo sfondo la Tour Eiffel.2 (2) Passanti, donne e uomini, ognuno colto in un istante, mentre l’artista camminava per ore o restava immobile pazientemente a lungo in un punto.    E poi ci sono le celebrità come Coco Chanel, Y. S. Laurent, Christian Dior, Picasso ecc. Pazienza, sensibilità e fragilità.       Realtà, umanità. Magica atmosfera rétro.              Verità.

“Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere.
Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere”
                                                                                                                Robert Doisneau
Quello che ci ha lasciato la visita alla mostra è l’idea che forse davvero questo mondo di cui parla Doisneau sia possibile. Afferrarlo, viverlo e percepirne atmosfere e rumori almeno attraverso i suoi scatti.
Per chi non vuole perdersela, vi ricordo che la mostra resterà allestita al Palazzo delle Esposizioni di Roma fino al 3 febbraio 2013.

Mostre sotto l’albero

Manca ormai un mese a Natale, il periodo delle feste concilia spostamenti e tempo libero da dedicare a ciò che piace condividendolo con chi amiamo. Tra gli avvenimenti culturali vorrei segnalarvi alcune mostre aperte proprio in questi mesi.                                                         A Torino è possibile immergersi nelle più belle opere dell’impressionismo realizzate da Degas. “Classe di danza,” “L’etoile,” “La tinozza,” “Le stiratrici” e tanti altri dipinti catturano l’attenzione e affascinano grazie a particolari  colori, sfumature e la soggettività della realtà che caratterizzano questo movimento artistico sviluppatosi alla fine dell’800. La donna, che allora stava acquistando maggiore valore nella società, è tra i soggetti preferiti dall’autore, non mancano i paesaggi e gli ambienti familiari.                                

(Presso la Palazzina della Società Promotrice delle Belle Arti fino al 27 gennaio 2012, http://mostradegas.it/)

Venezia dedica una mostra a Giuseppe Capograssi, uno dei più importanti artisti del secondo dopoguerra. Oltre sessanta opere, tra dipinti e lavori su carta, provenienti da importanti musei e collezioni private ripercorrono l’evoluzione artistica di Capograssi dagli esordi degli anni ’30 fino agli anni ’50-’60, tutte contraddistinte da quell’innovativo “alfabeto” che è il tratto distintivo della sua creatività, strettamente legata alla ricerca sull’importanza del segno. (Presso la Collection Peggy Guggenheim fino al 10 febbraio 2013, http://www.guggenheim-venice.it/default.html)

Ferrara riunisce circa ottanta tra dipinti, sculture e opere su carta di  Giovanni Boldini,uno dei più grandi artisti della città e di Previati e De Pisis che hanno arricchito il patrimonio culturale nel corso del Novecento. Temi letterario religiosi, ritratti celebri come “Ritratto del piccolo Subercaseaux”, “La signora in rosa” si confrontano con nature morte, vedute parigine, ricreando un eccellente incontro tra arte italiana ed internazionale. La mostra è allestita a Palazzo dei Diamanti, uno dei luoghi d’arte più importanti del nostro Paese, un motivo in più per passare in questa città che, dopo il terremoto sta dando segnali di ripresa proprio attraverso l’arte.           (Palazzo dei Diamanti fino al 13 gennaio 2012, http://www.palazzodiamanti.it/)

Anche la fotografia ha il suo spazio, davvero speciale se parliamo di Robert Doisneau, il più illustre rappresentante della fotografia “umanista” in Francia e conosciuto in tutto il mondo. A Roma, scatti in bianco e nero, sincerità, umorismo, donne, uomini, bambini, innamorati e animali colti in momenti di vita, in attimi che esprimono il loro modo di vivere Parigi.                                                                                                              “Quello che cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei la tenerezza che speravo di ricevere.”

Questo era l’intento di Doisneau, la sua ricerca e ciò che provava nel mondo che catturava con i suoi scatti e sono sicura che chi visiterà la mostra si sentirà bene, sfiorerà la  tenerezza.                                                                                                                                   

(Al Palazzo delle Esposizioni fino al 3 febbraio 2013, http://www.palazzoesposizioni.it/categorie/mostra-023)

Altre foto sono raccolte in una mostra a Caserta, quelle di Henri Cartier Bresson, pioniere del foto-giornalismo, detto “occhio del secolo.”

Avvenimenti semplici, rappresentati in modo attento e con la stessa profondità di quelli più importanti.          Le fotografie sono inoltre, accompagnate dai didascalie di scrittori, critici, amici del fotografo. (Presso la Reggia di Caserta fino al 14 gennaio 2013)

Nell’attesa di poter presto scrivervi in un post della mia personale esperienza ad una di queste mostre, spero cogliate anche voi l’occasione e poi sono allestite in città ancor più affascinanti e da scoprire in questo periodo. Ah, un consiglio: un bel biglietto per una mostra potrebbe essere anche un regalo non banale. Approfittiamone! E fatemi sapere 😉

La galleria d’arte più lunga del mondo è la metropolitana di Stoccolma

Scendere dalla metro e trovarsi in un ghiacciaio, attendere la prossima corsa con alle spalle lo sfondo di una necropoli, muoversi tra altri passeggeri, facce anonime e compagne del tempo quotidianamente consumato in quella che è una metropolitana ma anche la più lunga galleria d’arte  del mondo è possibile, è reale, è quello che accade a Stoccolma.          Sculture, mosaici e dipinti hanno pian piano arricchito questo spazio così esteso e insieme alla volontà di portare la gente ad avere un contatto diretto con l’arte, hanno dato vita ad un’impresa culturale senza pari.  Opere realizzate da più di 150 artisti dagli anni ’50 ad oggi sono visibili e ammirabili lungo tutto il tragitto, ad esempio alla stazione centrale, le pareti sono coperte di piastrelle e rilievi degli anni ’50, a quella di Kungsträdgården è stato allestito uno scavo archeologico con colonne romane. Gli scenari riprodotti, le istallazioni sono ben inseriti nella struttura, non appaiono come qualcosa di distaccato dall’ambiente. Non mancano i giochi di luce, soffitti di roccia ed effetti naturali. Le persone hanno la sensazione di vivere nell’arte.   L’arte è qualcosa di non statico, sempre in evoluzione proprio come i passeggeri, i viaggiatori, i turisti. La stessa metropolitana è il luogo dello spostamento. A  Stoccolma, offre un servizio impeccabile e contemporaneamente un’esperienza che coinvolge tutti i sensi.

Lasciare il mondo fuori, scendere quelle scale che portano in un mondo altro, colorato e a volte fantascientifico corrisponde proprio al meccanismo che tipicamente attiva l’opera d’arte, in questo caso però senza immaginazione.                                                         Frenesia, corsa e attesa diventano parole e situazioni che nulla hanno più in comune con l’idea di metropolitana. In Europa anche altre metropolitane offrono la possibilità di usufruire di “momenti d’arte”, con piacere mi viene da pensare che queste iniziative rappresentino occasioni di ritorno ad un vivere pacato, più intimo.                 Tutto questo passa attraverso la creatività. La creatività insieme alla volontà di curare e dare voce ai luoghi della nostra vita, riattiva il dialogo tra spazi e persone e la relazionalità tra persona e persona.