Marketing e tecnologia per i manichini interattivi

Ogni vetrina rappresenta uno spazio al di là del nostro mondo, di quello della strada che stiamo percorrendo quotidianamente, di quella sotto casa o di quella lungo il percorso che facciamo per raggiungere qualcuno per un appuntamento.                                              Ogni vetrina è uno spazio posto in questi spazi ma “sospeso”, intruso e nello stesso tempo perfettamente adattato. Ogni vetrina attira, comunica e ci chiama.

Attrarre la nostra attenzione è la sua funzione. Sedurci, fermarci dal nostro cammino. Quella che si genera è una rottura del continuum narrativo in cui siamo immersi.                La vetrina, è uno dei tanti spazi disponibili, sfruttato per veicolare un messaggio, per generare un impatto emozionale memorabile in un consumatore sorpreso e incuriosito.

In Giappone, le vetrine hanno manichini che “possono stabilire un contatto con i passanti”. Come poter resistere?

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Il brand di abbigliamento United Arrows, apponggiandosi alla tecnologia, ha conferito un carattere distintivo alla sua comunicazione più diretta con i clienti. Marketing “interattivo” potremmo chiamarlo…

I passanti ridono, ballano, si muovono, si divertono insieme ai manichini!

Sono coinvolti, vengono investiti di un ruolo attivo nel processo di comunicazione.

Ma come è possibile? Si tratta della nuovo tecnologia Kinect, che ha già rivoluzionato i video games e in questo caso, il sensore di cui è dotata cattura le mosse non dei giocatori ma dei passanti, simulandone i movimenti. Le “marionettebots” non lasciano indifferenti, incuriosiscono e coinvolgono.

Una strategia di marketing non convenzionale che va oltre il web e si sposa con l’innovazione e la tecnologia, in un mondo futuro, vicino in cui uomini e macchine “convivono” e sono più vicini di quello che si possa immaginare.

http://http://www.youtube.com/watch?v=0XAhcBpYqDg

Natura e sogno per la nuova campagna stampa Gabriella Rivalta

Immagini surreali, atmosfera fiabesca e sospesa nel tempo.

Nel verde predominante di un bosco incantato, tra fiori e colori pastello s’intravede il volto di una giovane donna: sembra fondersi con la natura che la circonda. Tiene tra le mani un girocollo con ciondoli colorati e brillanti, come quelli degli orecchini che riprendono il verde dei suoi occhi. Tratto distintivo restano i capelli rossi, una particolarità che squilla sulla pagina come le pietre su questi gioielli unici.

Campagna-stampa-2013-3[1]Il sogno. Il sogno di un mondo lontano e senza una collocazione precisa. Il sogno della natura con i suoi segreti. Il segreto custodito di una creatura sconosciuta. Quella creatura così lontana eppure vicina come le donne sulla Terra. Ogni donna è attratta dall’origine, dalla natura e nello stesso tempo ne è regina. Come ogni regina possiede simboli di valore. In quest’ottica si colloca la campagna stampa primavera estate 2013 dello storico marchio di gioielleria di Gabriella Rivalta.

La chiave comunicativa giusta è stata trovata grazie all’incontro con J. Melhop, pluripremiata fotografa di moda francese. Ed è stato proprio il giardino privato di Gabriella Rivalta a suscitare le emozioni catturate attraverso gli scatti, lo stesso spazio che dà ispirazioni alla creatrice di queste magie in miniatura declinate in diverse collezioni.

La campagna si distingue dalle più comuni nel ambito dei gioielli, non pone i riflettori solo su essi ma anche su chi li indossa. E in questo caso, non è la solita modella che sfila o si osserva in una stanza tutta sua, ma è la donna nel suo mistero, nella sua essenza nascosta, lì dove tutto ha inizio.

Magia della terra, magia del gioiello. E non a caso un gioiello è fatto di pietre, gemme e luci provenienti dalla stessa Madre Natura.

Antichi poster e installazioni moderne per i 150 del London Tubem

Fascino, efficienza e un forte valore simbolico fanno della metropolitana di Londra, la più antica al mondo, un elemento cool e sempre al passo con i tempi, tra passato, presente e futuro, ecco perché il suo compleanno va festeggiato in modo speciale.

Il London Trasport Museum fino al prossimo 27 ottobre espone meravigliosi esempi di arte urbana “pubblica” affissi fin dagli esordi del Tube, si tratta di poster recuperati da antichi archivi.  Tra i molteplici oggetti protagonisti troviamo acquerelli ai primi esperimenti tipografici e solide volumetrie in stile pubblicitario, legati soprattutto ad eventi culturali, sportivi o di intrattenimento.

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 Per i 150 anni del London Tubem è stato ideato anche un progetto di installazioni chiamato “Art on the Underground”: artisti inglesi e internazionali sono stati chiamati a celebrare l’evento con una serie di opere e installazioni ad essa dedicate.

Il tema del labirinto è riproposto da Mark Wallinger nella sua collezione di grafiche “sotterranee” per l’esposizione all’esterno della metropolitana. Infatti, ad ogni fermata è stato posizionato un poster raffigurante un labirinto, per un totale di 270 labirinti diversi.

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Ogni labirinto di Wallinger è come se ricordasse al passeggero che “Per quanto possa essere affollata la metropolitana, c’è sempre un via d’uscita“.                                          Il labirinto rappresenta un’immagine di uno spazio articolato, apparentemente complesso, eppure, seguendo il percorso giusto e le indicazioni che si offrono ai passanti, ha la sua via di uscita.

Vie diverse s’intrecciano e si confondono, ma ognuno ha la sua mappa mentale per attraversare e scoprire la città e il London Tubem ha e avrà ancora a lungo un ruolo centrale in questa esperienza.

Viral marketing da paura per “Dead Man Down”

Ecco l’ascensore sta arrivando, la porta si apre e…cosa potrebbe apparire?                   Io che lo uso quotidianamente, non vi nascondo che nell’attesa ho fantasticato diverse situazioni, da quella più romantica di uno sconosciuto bellissimo che appare di lunedì mattina a quella più sinistra di un cadavere… poi giorni fa, su Youtube, mi sono imbattuta in un video  dal titolo “Elevator Murder Experiment” accompagnato da un interrogativo: cosa fareste se incappaste in un omicidio in corso?

Ed ecco le persone che appaiono nel filmato, al momento di salire a bordo di un ascensore, si trovano davanti a due uomini che lottano, mentre uno cerca di strangolare l’altro.  Quello che scopro è che si tratta di un ambient prodotto per promuovere il film “Dead Man Down“. Il video cattura l’attenzione dello spettatore e mostra persone messe nella stessa situazione dei protagonisti del film uscito il 14 marzo: Victor (Colin Farrell) è il braccio destro di un capomafia di New York in cerca di vendetta. Sulla sua strada incontra Beatrice (Noomi Rapace), una donna misteriosa che nasconde un segreto inconfessabile e che conosce a fondo il passato di Victor. Un thriller ad alta tensione sui pericolosi incroci del destino di due persone accecate dalla sete di vendetta.

http://www.youtube.com/watch?v=qo6Jzh7SHRA

Si tratta dell’ennesimo caso in cui il cinema Hollywoodiano intraprende una campagna di promozione puntando sulla comunicazione virale e low cost.

Una scelta efficace e di successo che ripropone la formula di una situazione insolita che mette in scena happening e performance con l’obiettivo di far entrare direttamente il potenziale spettatore nell’evento ambiente.

La potenza del marketing virale si traduce in buoni risultati al momento di uscita del film ma soprattutto, nelle novità che contagiano il web attraverso blog, link e video, in un passaparola continuo e legato all’effetto buzz.

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Ed è così che questo video ha colto l’attenzione anche a chi ci si è imbattuto per caso come me. Intanto la porta del mio ascensore si è aperta, dentro non c’è nessuno, entro e fino al settimo piano ho tempo per immaginare cosa avrei fatto io…e magari pensare a quando andare a vedere “Dead Man Down”.  

EREDITARE UN’ANIMA

donnaUn suono acuto e sgradevole accompagnò l’apertura del cancello, basso, in ferro battuto e corroso dalla ruggine. I passi sui sassolini del viale generavano un rumore distinto nel silenzio che regnava intorno. Angela alzò lo sguardo alla costruzione grigia che si ergeva davanti a lei, poco distante, alla fine della strada che stava percorrendo, sentì freddo e un vuoto che sapeva non sarebbe stato riempito, ma solo ulteriormente scavato. Le mura della facciata erano coperte da un’edera rampicante fino al balcone e in alcuni punti rivestite dal muschio verde pallido. Uno scalino, un altro ed un altro ancora. Angela sfiorò il legno vecchio del portone e inserì la chiave nella toppa, dovette forzare un po’ ma alla fine aprì. Fu tentata dal tornare indietro.

Respirò, chiuse gli occhi e le apparve lei. Due occhi verdi e le rughe sul volto, un sorriso rassicurante. Angela tornò a guardarsi intorno, girò per le stanze e scostò alcune ragnatele sospese, evitò la polvere che si era impadronita di ogni mobile. Evitò lo specchio in fondo al corridoio al piano di sopra, poi tornò indietro. Si guardò: era lei, era come lei. Ed ora aveva anche la sua casa. Aveva i suoi ricordi, le sue paure, le sue speranze perdute in una vita trascorsa nel riserbo e nella prudenza verso ogni altro tentativo di felicità.

La sua stanza, il suo armadio, quel letto così grande. Sollevo il telo che lo copriva e si sedette. C’era ancora quella coperta in velluto rosso con due angeli sulla quale lei l’accoglieva quando andava a trovarla da bambina. Si lasciò andare all’indietro e un vortice la ingoiò: la luce e i colori ingoiati dal bianco e nero, un saluto straziante, il volto dell’uomo più forte e bello sulla terra per l’ultima volta tra le sue braccia. La sua voce incoraggiante e quella stretta infinita. Lei lo lasciò andare, con l’imposizione nel cuore di essere fiera di lui, della sua decisione. La Patria. Suo marito.

Nel bianco e nero si distingueva una piuma nera, unica e piena di valore su quel cappello d’alpino. Una vertigine faceva muovere tutto, mista ai terribili rumori delle bombe in lontananza. E scossa da quella paura, non sua ma viva lo stesso dentro di lei, Angela si svegliò. Riconobbe il lettone, riconobbe la stanza. Si alzò ma si sentiva appesantita. Per qualche strana ragione fu indotta ad aprire un cassettone, a cercare tra vecchie scartoffie e a leggere una lettera. Il tocco di quella carta vecchia le procurò sensazioni altrettanto antiche, perse e recuperate.

Angela, la mia casa a te, pronipote mia. La tua anima a me. Ci rincontreremo perché siamo la stessa cosa, la stessa persona. In questi anni ho vissuto in te, ma verrà il momento in cui tu mi farai tornare ad essere.”

Angela ripiegò la lettera. Richiuse il cassettone. Una debole luce dalla finestra le illuminò le mani rugose e la pelle secca. Doveva solo esserle sembrato. Uscì dalla stanza mentre sentiva le gambe pesanti, il ginocchio dolorante. Tornò davanti allo specchio, il vuoto la ingoiò e lei sospese il respiro. Il suo corpo non era più lo stesso ma quello di …Angela, la sua bisnonna. In testa scorrevano ricordi, immagini eppure non stava sognando. Erano situazioni che lei non aveva vissuto eppure erano così nitide, provava un miscuglio di percezioni… che cosa stava succedendo? Sulle spalle poté toccare davvero lo scialle viola che indossava nell’immagine riflessa nel vetro.

Angela urlò. La gola subì una specie di lacerazione. Provò a correre, voleva solo scappare da lì. Ma non ce la faceva, il respiro affannato e una fatica sconosciuta la bloccavano. Era assurdo, come era possibile? Era in trappola. In trappola in quella casa abbandonata, in trappola in un corpo vecchio e stanco, in un corpo che non era il suo. Era in trappola in se stessa.

“…siamo la stessa cosa, la stessa persona.”

Angela era Angela. La vecchia donna era di nuovo in vita, nello spazio della sua casa era acceduto ciò che aveva atteso per anni, dalle voragini del limbo dove era stata nell’attesa del ritorno. Aveva divorato gli anni di sua nipote, una vita spezzata che da adesso avrebbe respirato nei suoi respiri, nei suoi affanni.