Comunicazione Guinness: Tra tucani, pinte e allusioni hot fino all’orologio 2013

Era il 1979 quando  Arthur Guinness fondò a Dublino una fabbrica della famosa birra irlandese che porta il suo nome. Scura, quasi rosso rubino, dalla schiuma bianca e compatta e da un distintivo gusto amarognolo. Simbolo dell’Irlanda, è ovunque riconoscibile dall’L’arpa di Brian Boru che fu  scelta nel 1862  come marchio elemento costante nella comunicazione: gran parte della sua fama è dovuta ad una serie di pubblicità create da John Gilroy tra il 1930 e il 1940: celebri sono le campagne con gli animali entrate direttamente nell’iconografia e nella storia della pubblicità.

guinness3Anche uno dei  migliori spot di tutti i tempi è della Guinnress. Si tratta di quello del 1999 accompagnato dallo slogan “Le cose buone arrivano per chi sa aspettare” che mostra un surfista in attesa dell’onda migliore della sua vita, prodotto dall’agenzia pubblicitaria Abbott Mead Vickers BBDO.    Degli ultimi anni ricordiamo quello che è considerato un modello esemplare di pubblicità con tre uomini al bar che degustano una Guinness e attraverso una specie di inversione temporale tornano indietro fino alla preistoria. Era il 1995. Mentre nel 2007, è una comunità in Argentina a essere coinvolta da una reazione a catena di oggetti,a partire da un tavolo da domino, in caduta per le strade del villaggio sulla scia dell’annuncio “Tipping Point”. Nell’immagine finale 10.000 libri accatastati aprono le pagine dando forma a una gigantesca “pinta” di Guinnes.

guinness 2E’ del 2009 lo spot che in Italia è stato censurato e mai andato in onda: giocato sui doppi sensi e sull’ironia, ha scatenato polemiche e riaperto la questione della donna – oggetto.

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Al di là delle diverse letture, dal punto di vista dell’obiettivo di comunicazioone direi che sia efficace. Guinness è una birra dal gusto forte e deciso, scelta per lo più da un target maschile e così amata da non perdere l’occasione di sorseggiarla in nessun momento.                    E arriviamo fino ad oggi, all’ultimo spot Guinness:

Antico villaggio irlandese. Un orologio modifica il tempo. Prima accelera per aiutare un calzolaio con il suo carico di lavoro, poi torna indietro per dare al fabbro una seconda possibilità di salvare i suoi locali e infine sospende per il tempo per far godere alla gente il magico momento in cui l’esercito ritorna a casa. Diretto da Peter Thwaites per Gorgeous, riprende il concetto di Made in More dello spot di qualche mese fa “Cloud” in cui una nuvola coraggiosa si metteva alla prova affrontando un lungo viaggio.

Guinnes 1

Dal tempo metereologico passiamo al tempo cronologico. Protagonista é stavolta un orologio diverso da tutti gli altri’:manda avanti il tempo, lo riporta indietro o lo cristallizza. Gli abitanti possono vivere davvero a pieno la vita, godendo di ogni istante.       Obiettivo principale della comunicazione del brand  è sottolineare la non conformità del suo prodotto e dei suoi consumatori e lo fa ancor più attraverso la voce narrante:      “Do we strive to be ordinary or do we strive to be made of more?” (ci battiamo per essere ordinari, o lottiamo per essere fatti di qualcosa di più?).

BogoBrush: uno spazzolino amico dell’ambiente

Un’azione semplice come quella di aprire un rubinetto dell’acqua, prendere il dentifricio e lavarsi i denti può essere un piccolo gesto che aggiunge senso alla nostra vita quotidiana. Nel mare dei comportamenti che si assumono ogni giorno, mi accordo che all’orizzonte, se vado oltre le acque sotto lo scoglio, c’è chi riserva particolare attenzione anche ad un semplice spazzolino.

Le scelte green stanno coinvolgendo sempre più persone e mi piace pensare che una certa sensibilizzazione vada oltre le logiche del marketing.  Voglio credere che davvero le persone con il tempo stiano comprendendo l’importanza di un nuovo atteggiamento. Un’alternativa lontano dagli egoismi, racchiusa nel significato che l’azione del singolo ha per tutti.

Spazzolino dunque. BogoBrush è il suo nome. L’ambiente è un suo amico.

Legno di bambù, colori ad acqua, setole vegetali e biodegradabilità al 100%.

Nasce dalla creatività dei designer Heather e John McDougall, due fratelli del Nord Dakota cresciuti con un padre dentista. Normalmente, il nylon impiega dai 30 ai 40 anni per decomporsi in natura, ma le fibre utilizzate per Bogobrush dovrebbero richiedere meno di un anno per completare il processo di degradazione.

Vista la compatibilità ambientale dei materiali che lo compongono, lo spazzolino in bambù potrebbe anche essere sepolto in giardino al termine del suo ciclo di vita, lasciando alla natura il compito di degradarlo. Secondo la US Federal Trade Commission, infatti, i prodotti biodegradabili potrebbero essere poco adatti a decomporsi in discarica, a causa della scarsa disponibilità di luce, umidità e aria.

Per il lancio di Bogobrush, oltre a puntare sulla biodegradabilità e sulla sostenibilità ambientale, i suoi ideatori hanno deciso di investire anche in solidarietà: per ogni spazzolino acquistato, infatti, la società ne regalerà un altro a una persona bisognosa (anche per questo il costo del prodotto non è molto economico).

Arriverà sul mercato a partire dal marzo 2013, ma è già possibile prenotarlo online al costo, per la verità un po’ elevato, di 10 dollari al pezzo.

Scorgo una libreria…ma non era una chiesa, una stazione, un teatro?

Il luogo evoca il pensiewro di uno spazio fisico, le caratteristiche che assume, il carico di simboli e segni ne determinano una moltitudine di significati, fino a determinarne lo spirito, l’atmosfera, l’anima. Questo post dedicato a luoghi speciali, con un’identità sviluppata che va oltre i limiti fisici e si dà come qualcosa di vivo e vissuto, quella di spazio esperenziale prima in un modo oggi in un altro. Sto parlando di librerie sorte in posti in passato investiti di altre funzioni e che ora conservano tratti della loro originaria identità arricchite dal fascino dell’arte e della cultura. 1aInizierei con la Shakespeare & Co.di Parigi: Scaffali colmi di libri polverosi, ragazzi che leggono attorno ad un tavolo, una macchina da scrivere in una nicchia di legno, l’atmosfera è curiosa e contiene in sé il ricordo di E. Hemingway, J. Joyce ed altri scrittori e artisti della generazione che si incontravano qui, in questa libreria aperta nel ’19 da Sylvia Beach che divenne centro della cultura anglo-americana a Parigi. Dopo la chiusura nel ’41 a causa dell’occupazione nazista, negli anni ’50 fu trasformata in un ostello ed oggi esiste ancora vicino a Place St. Michele: si possono leggere per ore libri, suonare il piano, conversare, riposarsi, senza che nessuno ti dica niente. Oltre oceano c’è The Last Bookstore, a Los Angeles: Alti soffitti e colonne di marmo con i libri che rivestono tutte le pareti, comodi divani in pelle e sculture, libri sparsi creano uno spazio unico per letture e momenti di relax nello spazio bar all’interno dei 10.000 mq della Citizens National Bank. 2Di solito, se si pensa alla California vengono in mente altri paesaggi ed esperienze ma resta sempre una terra che sorprende e  i più curiosi nei confronti di realtà meno comuni questo angolo di cultura e particolare architettura non si può perdere!

Tornando in Europa, troviamo la Boekhandel Selexyz Dominicanem, a Maastricht: Trasformare i luoghi, dare un nuovo senso nel gioco infinito che gli uomini fanno con la costruzione dei significati è sempre qualcosa di affascinante e produttivo. Ne vengono fuori luoghi nuovi, eppure sempre gli stessi, sulle stessa fondamenta ma aperti ad ulteriori comunicazioni. 3 Un esempio è una chiesa domenicana, con 800 anni di storia situata a Maastricht che fu convertita prima in un deposito di biciclette e poi in libreria dallo studio di architetti olandesi Merkx e Girod. Hanno conservato il carattere e il fascino del vecchio edificio ma aggiunto elementi moderni per un interior design “monacal-minimalista”. Dev’essere qualcosa di speciale leggere e trovarsi tra tanti libri in un luogo che può generare sensazioni diverse come questo che in tanti chiamano “Negozio di libri Paradiso”. 4

Barter Books, nel Regno Unito: Una vecchia stazione ferroviaria in stile vittoriano costituisce lo spazio da cui è stata ricavata una delle più grandi librerie di libri usati della Gran Bretagna ed offre anche eccellenti strutture per mangiare, aree salotto, un camino nella vecchia sala d’attesa e servizi igienici. Mentre ci si sposta tra cd, dvd e libri, soprattutto tenendo un’attenzione particolare per la collezione  che varia di giorno in giorno a seconda di quello che è stato venduto/portato in baratto, un piccolo treno corre sopra la libreria. Il passato, anche in questo caso, arricchisce e stupisce!

 Ler Devagar, a Lisbona: OLYMPUS DIGITAL CAMERAqui invece è una bicicletta volante ad  attrarre i visitatori-clienti in linea con i concetti di leggerezza, calma e evasione data dalla lettura e non a caso la traduzione del nome della libreria è: leggere con lentezza. Sogno e immaginario. Volo e fantasia. I libri arrivano fino al soffitto e sono separati in diverse aree per dare a tutti la possibilità di scoprire qual è la lettura mancante, quale storia non si è ancora vissuta. E poi va ricordata El Ateneo Grand Splendid, a Buenos Aires: un palcoscenico e una plateo accolgono, si danno e rivevono in un dialogo di gesti, racconti e esperienze. L’emozione del teatro è unica ma può essere declinata anche in altri modi. Qui un soffitto alto a cupola, pachi e balconi intatti, che una volta accoglievano gli spettatori di spettacoli di leggendari ballerini di tango, sono spazi accoglinti per i lettori che possono accomodarsi per sfogliare uno dei 120.000 libri. 6

Il proscenio è ancora avvolto in spesse tende color cremisi, il palcoscenico è sede del caffè del negozio.  Il teatro, progettato dagli architetti Peró e Torres Armengol e inaugurato nel maggio del 1919, è diventato una libreria nel 2000 in grado di combinare la maestosa architettura con le bellezze del design e le necessità di un il negozio.

Infine quella che preferisco: Lello e Irmao, nel cuore di Oporto, nei pressi della Torre del Clero, si innalza la facciata neogotica, progettata dall’ ingegnere portoghese Francisco Xavier Esteves nel 1906, di un edificio che oggi ospita quella che tra tutte penso sia la libreria più bella del mondo! Dettagli d’epoca creano un’atmosfera in grado di trasportare indietro di cento anni, enormi scaffali di legno pieni di libri sfiorano il soffitto a vetri che proietta la luce naturale dando vita ad uno scenario insuperabile dove protagonista è  una bellissima scala in legno intagliato. 7a

Questo è un luogo che narra, racconta di sé e degli uomini che ci sono passati, di oggi e di domani. Non è un posto solo per la vendita, l’aspetto commerciale impallidisce sotto il potere della magia!

DOPPIA PERSONALITA’ di Brian De Palma

Sera tardi, divano e sbadiglio che fa valutare che è arrivato il momento di andare a dormire. Zapping dei canali giusto per sbirciare… nulla di nuovo, soliti programmi di seconda serata con le solite facce e i soliti copioni, pubblicità, repliche di programmi pomeridiani… e la faccia di Dario Argento. Nello stesso istante percepisco che fuori sta piovendo… resto ad ascoltarlo mentre presenta un film di Brian de Palma, assonnata mi dico che dev’essere interessante, dovrò scaricarmelo. Ma di lì a poco le immagini di Doppia Personalità (1992) iniziano a scorrere sullo schermo e qualcos ami dice che il letto può aspettare.

Bambini. Psichiatria. Un assassino insospettabile. Comportamento e faccia del protagonista in linea con i personaggi che non ignori facilmente.

Il dottor Carter Nix si mostra a tratti, la sua storia si dispiega tra rimandi, flash back, intuizioni, ricordi, visioni. Il dottor Carter impiega cinque se stesso per darsi allo spettatore al mondo in cui vive.

3Doppia Personalità racconta la storia di questo psichiatra infantile che sperimenta le sue teorie sulla figlia, alla quale è legato in modo quasi morboso, non la perde d’occhio e si preoccupa che non pianga, che non abbia paura, che non si svegli la notte… tant’è che nella sua camera ha uno schermo televisivo che restituisce le immagini della stanza della bambina mentre dorme. Sua moglie è invece insofferente, distaccata, poco materna. Carter è in lotta con un l’altro Se aggressivo, cinico e spietato. In grado di dare sfogo al dolore sopportato silenziosamente da Carter. Infatti Crater è egli stesso figlio di uno psichiatra, morto suicida, che lo ha sottoposto da piccolo a esperimenti relativi al comportamento infantile. Suo padre voleva studiare la nascita di personalità multiple e per farlo doveva crearle lui, ha così fatto vivere al figlio i traumi necessari allo sviluppo di ciascun tipo di personalità. Tra le cinque, Caino è quella che si è addossato tutta la sofferenza per il male subito come quella che determina il senso di colpa per gli omicidi.

2 (1)Ma anche la moglie Jenny è divisa tra la vita di moglie e quella di amante del marito di una sua paziente morta. Vive nella realtà ma anche in un mondo onirico. I suoi sogni sono uno degli elementi centrali di Doppia Personalità, pieni di scene premonitrici e in un asse temporale tra passato e futuro senza logica.

E poi ci sono i ricordi. Ad esempio la scena del parco è proposta dal regista prima come la ricorda lei e poi come l’ha vista Carter che la spiava con il suo amante.

De Palma si distingue per uno stile personale e riconoscibile, gli elementi base del suo cinema sono il piano sequenza, le soggettive che amplificano la profondità di campo, il voyerismo e il tema del doppio. Doppia Personalità li contiene tutti come pure le citazioni e rimandi ad altri film, in particolare al giallo classico hitchcockiano.

Parodia e rielaborazione dei film ai quali si ispira.                                           Sperimentalismo.

Predilezione per le ellissi di piani temporali, carrelli laterali essenziali nel mostrare la dualità come quello che ci mostra prima Carter e poi Caino mentre si dispiega ai loro occhi la scena del tradimento al parco.

Il piano sequenza più efficace è quello attraverso il quale prende voce il racconto della dottoressa, collaboratrice in passato del padre di Carter, che spiega la storia del figlio di questo mentre insieme al tenente della polizia sale e scende i piani del commissariato fino ad arrivare a medicina legale, davanti al cadavere di una delle vittime.

Suspance e volti “sconvolti e gridanti” delle donne assassinate sorprendono lo spettatore.

Travestimenti e maschere sono strumenti che il regista usa per giocare con i suoi personaggi. E nella mente resterà impresso quello del protagonista nella scena finale, mentre si erge alle spalle di chi non sospetta nulla, con una smorfia sorridente.

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Sono tanti i momenti chiave, da rivedere forse, per coglierne il senso nell’incastro apparentemente senza ordine in cui li pone il regista. Indizi dipanati qua e là di una cinematografia che mi ha catturata e indotta a vedere altre opere di De Palma.      Magari durante il prossimo temporale…..

Urban Knitting: il gomitolo della creatività sciolto in città

Nel 2005 due donne da Houston si sono riuniti e formarono il gruppo “Knitta” con l’idea di mostrare il loro lavoro a maglia e uncinetto di monumenti, arredo urbano e di altri luoghi pubblici.

Filati, colore, strutture cittadine in veste insolita sono gli elementi chiave dell’Urban Knitting che ultimamente sta invadendo anche Roma. Questa forma d’arte d’origine americana è nota anche con il nome di Yarn Bombing e in linea con la logica “guerrilla” non è autorizzata, è messa in atto in modo non convenzionale e anonimamente.         La prima artista e’ considerata Magda Sayeg che nel 2005 ricoprì la porta del suo negozio con un patchwork di lavoretti ai ferri.

urban-knitting[1]

Anche in Europa quest’arte che riscopre l’uncinetto ha preso piede, a Vienna è stata la segnaletica stradale e un’intera fontana ad essere interamente ricoperti, a Londra le note cabine telefoniche, come pure Valencia e altre città spagnole e in Australia e Nuova Zelanda.

Nella primavera dello scorso anno l’associazione aquilana Animammersa composta cinque artisti ha attuato questo tipo d’iniziativa, colorando e riscaldando il centro storico con la lana,per richiamare l’attenzione sul territorio in occasione del terzo anniversario del sisma. Mentre a Genova è da segnalare il progetto Intrecci urbani, primo grande importante evento di yarn bombing in Italia organizzato dalle istituzioni.

Attualmente è Roma a essere ingrovigliata da fili di lana colorati: alberi e transenne del quartiere Prati sono i protagonisti del grigio inverno conferendo tocchi di colore e vivacità. L’idea è venuta a Eleonora Diamare, giovane laureata che aiuta spesso anche i genitori nella merceria di famiglia, che si è appassionata per caso a questo movimento artistico ed è riuscita a coinvolgere anche i proprietari di altre attività commerciali e donne giovani e più anziane che in questo periodo sono a casa senza lavoro. Nessuno ha guadagnato nulla, anzi si sono autotassate per pagare alcuni contributi ma l’iniziativa ha avuto successo.

Urban Knitting dunque è tutto questo: materiali semplici che possono essere recuperati. Facilità nell’eventuale rimozione. Entusiasmo.                                                                                                               Luoghi diversi persone diverse e distanti tra loro ma unite da un filo colorato dello stesso gomitolo: quello della creatività.

Doisneau e il bacio tra Parigi e Roma

Roma. Uscita della Metro e piazza Repubblica sullo sfondo. Eccola la mia amica, con un taglio di capelli nuovo, cortissimo e l’eyeliner a sottolineare due occhi magnetici. Nativa della città eterna e di ritorno da Londra, oggi pronta a viaggiare verso Parigi.    La mostra di Doisneau ci aspetta.

Al palazzo delle Esposizioni l’allestimento è sobrio, essenziale e non segue un ordine cronologico: le foto del più illustre rappresentante della fotografia umanista in Francia dagli anni ’70 riescono da sole a riprodurre gli scenari che apparirebbero in una reale passeggiata per Parigi.

“Un’immagine non deve essere nè perfetta nè accademica. Bisogna lasciare la porta socchiusa per far entrare l’imperfezione che suscita il fattore emotivo” .                 Robert Doisneau

Emozione è la prima parola che mie è venuta in mente durante la visita alla mostra.      Bianco e nero.                                                                                                         Sfumature dei grigi come sfumature di sensazioni e atmosfere.                                  Doisneau aveva una forte capacità di narratore e testimone di un tempo andato, ma eterno che suscita curiosità e affascina ancora oggi. Credo fosse molto empatico, come ogni artista e le sue foto per questo riescono a comunicare efficacemente con chi le guarda. Il percorso di cui io e la mia amica ci sentiamo protagoniste segue i temi a lui più cari, in primis l’amore e trovarsi di fronte a al famosissimo Bacio Hotel de Ville fa un certo effetto, ma ancor più sorprendersi e farsi catturare da foto meno note. 34doisneau.tif                 In ognuna è possibile scovare un particolare che solo chi sa che è racchiuso nella normalità può scovare.     Doisneau sapeva inquadrare l’eccezionale del normale, rendendo eterni attimi sfuggenti, momenti persi nella quotidianità di una città così speciale come Parigi.                                                                                                                       Il lungo Senna, la Ville Lumière, i bistrot, gli atelier, i giardini e le gallerie d’arte, spazi popolati da gente comune, innamorati, bambini, operai e celebrità.                                 A farci soffermare di più sono state le foto in serie, quasi delle “costruzioni” come quella dei Passanti in Place de la Concorde che sfidano il traffico o quella di foto che si aprono come finestre di un palazzo. 2 (1)I bambini sono colti mentre fanno acrobazie o attraversano in fila una strada o si tuffano con sullo sfondo la Tour Eiffel.2 (2) Passanti, donne e uomini, ognuno colto in un istante, mentre l’artista camminava per ore o restava immobile pazientemente a lungo in un punto.    E poi ci sono le celebrità come Coco Chanel, Y. S. Laurent, Christian Dior, Picasso ecc. Pazienza, sensibilità e fragilità.       Realtà, umanità. Magica atmosfera rétro.              Verità.

“Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere.
Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere”
                                                                                                                Robert Doisneau
Quello che ci ha lasciato la visita alla mostra è l’idea che forse davvero questo mondo di cui parla Doisneau sia possibile. Afferrarlo, viverlo e percepirne atmosfere e rumori almeno attraverso i suoi scatti.
Per chi non vuole perdersela, vi ricordo che la mostra resterà allestita al Palazzo delle Esposizioni di Roma fino al 3 febbraio 2013.

LE LACRIME DEL BRANCO di Marina Crescenti

Qualche settimana fa avevo pubblicato un post con un’intervista che Marina Crescenti mi aveva gentilmente concesso per Oltreloscoglio, durante le festività natalizie ho avuto modo di rincontrarla in occasione di una presentazione del suo ultimo romanzo e tenendolo tra le mani, dopo una lettura-visione-allucinazione vi propongo la mia recensione.

“Le lacrime del branco” va letto senza spettative, senza pregiudizi e senza pensare a Luc Narducci. In quest’ultimo romanzo Marina Crescenti costruisce un mondo narrativo diverso da quelli ai quali ci ha abituati, lontano da quella famiglia di personaggi che rincorrono l’intrecciarsi di indagini e problematiche quotidiane. L’autrice si butta in un mondo giovanile particolare, quello del branco assetato di sangue e follia: quattro ragazzi e una ragazza marchiati da crude e dolorose vicende infantili hanno sviluppato un comportamento di risposta alla vita del tutto sfasato, sanguinario e fagocizzante. Essi stessi sono divorati dall’abisso violento in cui trascinano le loro vittime, lo stesso abisso dove risiede l’origine del loro male.                                                                    Chi subisce il male restituisce il male? Qual è il limite oltre il quale uccidere diventa l’unica cosa che soddisfa? Queste le domande che sorgono di pagina in pagina, tra omicidi come sfogo e divertimento conditi con alto tasso alcolico e sostanze stupefacenti.BRANCO Sembra di provarlo, non solo percepirlo, quello stato “altro”, fuori di testa e senza una buona distinzione tra allucinazioni e realtà. Una realtà sempre alterata, sempre sporcata.          “Le lacrime del branco” sembra non seguire una storia precisa ma proporre a raffica immagini di morte e di un modo troppo facile di perdersi tipico dei protagonisti. Loro sono giovani funamboli persi che a stento si reggono sul filo tra vita e non vita. Non hanno i mezzi o la forza per smettere, per cambiare o semplicemente ignorano che forse sarebbe possibile. Loro devono difendersi dai rancori, dalla rabbia per la vita che il destino gli ha concesso, devono difendersi dalle ulteriori violenze che loro stessi provocano, sopportare il peso della loro stessa maschera.       Al di là del viaggio che con difficoltà si può intraprendere nella loro anima, senza giustificare ma trovandone un meccanismo intricato, resta l’immagine che hanno e offrono: malati di morte, senza coscienza e rimorso, privi di senso di colpa. La lettura di questo romanzo è come la fisione di un film durante la quale non trovi modo di pensare, senti il germogliare di semi di pensiero diversi tra loro ma che solo alla fine riprenderai e tenterai di rielaborare. Lo stile di scrittura è fresco, veloce e in linea con l’andamento e il carattere duro delle situazioni raccontate. L’autrice ha intrapreso una strada per lei nuova e  inaspettatamente piacevole che culminerà nel seguito di “Le lacriome del branco” e a mio parere penso che potrebbe andare ancora più a fondo, toccando le viscere dei personaggi e quelle del lettore. Vedremo quanto riuscirà ancor più ad osare prossimamente.

La morte dà i numeri

La mano nel sacchetto nero mischiava, agitava il contenuto, i volti dei seduti al tavolo mostravano attesa. Quell’attesa che voracemente li ingoiava nel gioco e nel dramma. Attesa per l’orrore scampato.

“Trentatre.” Avevo quel numero, ci posai un fagiolo.                                                        “Quaranta.” Questo mi mancava.

I numeri erano sempre stati dalla mia parte, una vita passata tra enigmi di logica ed equazioni matematiche. Al mio fianco era seduto un tizio che conosceva tutti i segreti della Cabala. Davanti a me un ricercatore matematico.                                                     I numeri per alcuni sono solo cifre, per altri qualcosa da ignorare il più possibile, per altri un’ossessione. Se poi all’ossessione si aggiunge la sfida alla sorte con un gusto macabro… il risultato è una follia allo stato puro.

Sei folli, sei come un nove capovolto, come il multiplo di tre… sei individui tra loro sconosciuti, accumunati da una distorta visione della vita e della morte, sempre da tentare e sfidare. Eccitati all’idea di sapere che le loro conoscenze potevano farli andare oltre e allo stesso tempo non essere sufficienti. Perchè il fato non perdona.          Individui borderline, sempre sul filo del rasoio, tra salvezza e sconfitta, tra sospiro e urlo, tra presenza e assenza. Presenti fisicamente, assenti mentalmente. Inebriati di pazzia.

L’orologio segnava le 23:50, la Mezzanotte era vicina. Il confine era a pochi minuti. “Diciassette. Metà rosso e metà nero.” L’uomo fece scattare il taglierino. La donna seduta alla sua sinistra aveva quel numero. Baciò il fagiolo con le labbra rosse e lo pose sulla sua cartella. Si alzò. Sembrava pervasa da un’estasi, sapore di piacere su cui si spalmavano gpcce di dolore. Gocce di sangue caddero sulla cartella.                  Gli altri assaporavano con la vista la visione del sangue e della donna. Io mi ricordai che se avessi spostato lo sguardo sarei tornato sull’immagine più cruenta, di colui che finora aveva rischiato di più e perso di più. La sua testa rivolta con la fronte sul tavolo e con un taglio in gola. Il Ventuno nero non perdonava mai. Con lui aveva confermato il destino che segnava.

Tornammo alla tombola. Alla pesca dei numeri dal sacchetto nero. I minuti passavano . Tic tac tic tac…                                                                                                             “Otto rosso.” Fissai la mia cartella e lo vidi. Mentre ci posai sopra un fagiolo tutti mi guardavano come spiritati, vogliosi e increduli. L’uscita dell’Otto rosso era coincisa con lo scoccare della Mezzanotte. Ero sulla linea. Ero al limite. Ero nel passaggio. Mi voltai verso l’esperto di Cabala alla mia destra. Aveva il viso infiammato.

pistolaL’uomo che pescava i numeri si alzò e passò la pistola che di mano in mano arrivò all’uomo accanto a me.        Avevo il cuore preda di elettricità e totale alterazione. La Mezzanotte del nuovo anno aveva influito da subito sulla mia vita.                      Coincidenza. Sorte. Destino.            Non sapevo quale di queste scegliere per darmi una risposta. L’unica cosa che sapevo era che l’inversione era avvenuta. Ecco il momento.                                     Il mio respiro non lo sentivo più. L’Otto è un numero molto particolare, capovolto non cambia. In orizzontale ricorda il simbolo matematico dell’infinito. L’Otto rosso è morte. Ma la morte può essere data o ricevuta. L’Otto rosso è morte ricevuta. Il matematico mi tese il ferro. Afferrai l’arma, la strinsi, la sentivo gelida. Se l’Otto rosso esce allo scoccare della Mezzanotte inverte il suo significato. Chi dovrebbe riceverla diventa colui che la infligge. La puntai alla testa dell’uomo che avevo davanti e premetti il grilletto sentendo l’energia del botto irradiarsi e salire lungo il mio braccio. E fu allora che tutti alzarono i calici brindando al nuovo anno.