Radio a tinte noir

“E’ una notte con dedica quella che vi tiene compagnia…”

Poche luci accese, la scritta ON AIR lampeggiante e il microfono davanti tenevano Luc concentrato. Il tono della sua voce era caldo e profondo, rassicurante. Eppure, era conscio di trasmettere anche altro. Voce suadente e misteriosa.

Mentre avviò un altro brano, fissò la sedia vuota in regia, infatti quella notte il suo collega non c’era e Luc doveva fare tutto da solo. Poi, spostò lo sguardo al’orologio e considerò che mancava ancora metà del tempo alla fine della sua trasmissione.                          Tempo infinito.  Tempo  stabilito.                                                                                        

Ma il tempo della notte era diventato quello della vita da mesi ormai. Da quando, l’insonnia di cui aveva sofferto soltanto saltuariamente era diventata una vera e propria consuetudine. Non aveva dato troppo peso alla cosa, fino a che, esami medici più approfonditi avevano rivelato una malattia neurologica che determinava un’insonnia cronica. Ed anche durante il giorno, dormire non era afatto facile. In certi periodi, dei farmaci sembravano concedergli brevi dormite ma tale situazione era molto rara.

Luc riprese a commentare i messaggi che arrivavano dagli ascoltatori, lanciava i brani richiesti. Un messaggio: -HO RUBATO IL TUO SONNO-

Luc continuava a fare ciò che doveva. Ne arrivò un altro dopo qualche minuto:                     -CHI NON DORME NON HA PIU’ LA SUA FUGA-                                                        Ancora: -TU NON PUOI DORMIRE, MAI.-

Luc pensò ad uno scherzo, qualcuno non aveva di meglio da fare. Doveva essere qualche cretino, o forse il suo collega. Prima che terminasse il brano in onda, guardò l’ora. Non era ancora finita. Tornò a riempire la notte di coloro che la vivevano in bianco, attaccati all’illusionedelle parole da lui proferite. Luc sapeva cosa la gente voleva sentirsi dire.

Le luci sussultarono. Ci doveva essere qualche interferenza. Anche la scritta ON AIR si accendeva ad intermittenza. Luc mandò uno stacco pubblicitario, sperando non si interrompesse, ed andò a controllare l’impianto tecnico. Era tutto a posto. Ma appena si mosse per tornare al suo posto, il buio s’impadronì di lui. Rimase immobile. In sottofondo si sentiva qualcosa, un rumore, una musica… in crescendo, note decise, suoni duri. Una musica tagliente, energica e gelida. Il freddo lo sorprese agli arti, Luc si sentiva congelare.

Stava sltando tutto, il mixer, il microfono, il telefono, il pc… forse si era addormentato e questo, per uno strano effetto del destino, era un incubo. Da sotto la scrivania si alzò del fumo che prendeva forma, la forma di una figura astratts.                                               -NON HAI RISPOSTO AI MIEI SMS. VOLEVO DEDICARTI QUESTA MUSICA.-                “Chi sei?”                                                                                                                                  -DI PERSONA SEI ANCORA MEGLIO DI COME T’IMMAGINAVO.-                                     La musica continuava. Luc iniziò ad odiarla. La figura si alzò, il fumo svanì e lei apparve con una veste morbida, grigia. Sulla testa aveva un cappuccio, il volto era bianco, segnato da ferite come pure le mani. Gli occhi gialli. Allungò il braccio verso di lui.                            “Non sei reale, no…”                                                                                                        –        -VIENI…-                                                                                                                               Luc si spostò, camminado all’indietro inciampò, lei avanzava ancora. Le luci tornarono a fare interferenza. Luc cercò di uscire da lì, ma la porta non si apriva.                                      -I TUOI ASCOLTATORI TI ASPETTANO… SALUTALI…-                                                   Luc si accostò al microfono, si rimpose, schiarita la voce, parlò a loro, lasciò andare le sue parole. Voleva che si sentissero presi per mano, sedotti per l’ultima volta.

 

UNA STRADA DI LIBRI ILLUMINA MELBOURNE

Libri, libri, libri, luci al led e una strada di Melbourne: ecco i protagonisti di una speciale istallazione per il Festival Light in Winter, realizzata da un collettivo di artisti.                         Il tema era la letteratura e loro hanno voluto creare un’atmosfera intima e accogliente, fare di Federation Square un centro di aggregazione attorno a piccoli contenitori di mondi, storie e vite. Se l’architettura metropolitana, il traffico, il correre continuo in modo indefinito sembrano sottrarre pezzi di sospensione alla nostra quotidianità; il libro scambiato, raccolto e sfogliato lungo il percorso illuminato, consente di riappropiarsene.  

Libri considerati vecchi, obseliti hanno trovato un nuovo modo di essere ancora perfettamente adatti ad attrarre l’attenzione. I passanti incuriositi da questo fiume da essi riempito, hanno potuto interagire, scambiarseli e prenderli. Nel bel mezzo della città, hanno avuto la possibilità di fermarsi, accostarsi al mondo quasi irreale di fronte ai loro occhi eppure molto familiare, proprio perché pieno di libri. Il libro è qualcosa di vicino, presente nelle nostre case, sul comodino vicino al letto ed anche se non li leggiamo con assiduità è lì. Sappiamo che c’è. Come c’è il mondo che racchiude, l’avventura che racconta. L’istallazione si caratterizza per una temporalità quasi statica, senza inizio e fine.               Lo spazio che occupa si fa luogo scenico, come a teatro. Ha una sua vita, un’esistenza a sé e contemporaneamente aperta alla comunicazione con il “pubblico”. E’ la strada a garantire la partecipazione, l’azione. E le persone sono incluse nella performance, questa non esisterebbe senza di esse. Il coinvolgimento ne è il fulcro. L’emotività attrae, chiama, soddisfa. L’esperienza e l’intrattenimento in questa realtà, che è dentro e fuori da quella nella quale ci si muove normalmente, sollecitano l’attenzione e la deduzione di significati altri, personali, possibili e diversi per ognuno.                                                               Proprio come la lettura di un libro. Proprio come il percorso intrapreso lungo una strada.

HARIBO “gummyfica” la stazione di Milano

I media sono diventati interattivi, comunicano una vasta gamma di informazioni, si mettono in contatto con le persone stimolandole a non avere un ruolo passivo, diventando punti di partenza per nuove e ulteriori declinazioni dei significati. Ognuno nella sua doppia identità di persona e consumatore, è protagonista dei nuovi spazi di comunicazioni; i brand tendono ad allinearsi ai nostri desideri. No, non vogliamo più solo un prodotto, un servizio. Ciò che cerchiamo è qualcosa che ci faccia sentire vivi, che ci faccia riappropriare del nostro essere. Un Io che tenta di emergere dalla confusione, dalla instabilità, tra infiniti flussi di informazioni, speranze disattese, certezze che si sgretolano, punti di riferimento non più assunti da realtà istituzionali sociali ecc. I brand sembrano gli unici a creare un’empatia con questo Io, intercettando il bisogno di credere in un sogno, reale o immaginaria che sia la storia narrata. Un caso che sta facendo parlare in questi giorni è il primo progetto di Gummyfication di Haribo Italia: la stazione Cadorna di Milano da qualche settimana regala un pizzico di felicità e allegria! Scale d’ingresso e scale mobili, manifesti e pavimentazioni sono state allestite con immagini di caramelle. Tra confetti, caramelle gommose e liquirizie, i viaggiatori per quarantacinqe giorni potranno vivere l’esperienza del luogo o meglio di uno dei non-luoghi (Haugé) per eccellenza, cogliendone la dimensione narrativa. Man mano che si muovono tra i punti più importanti della stazione, seguono la narrazione che viene proposta dai codici di comunicazione visibili, creati, ridefiniti presenti lungo il percorso. Haribo, con questa strategia di comunicazione, fa della stazione di Milano un medium interattivo che comunica informazioni che vanno oltre quelle funzionali, che fanno leva soprattutto sulla sfera emozionale. Si crea un dialogo con le persone. L’occhio coglie quello che più lo colpisce, come rimanere impassibili di fronte ad un “mondo di gusto”? Sono i sensi ad essere stimolati, anche nella brevità del momento.Partire, arrivare, attraversare. La fruizione è immediata, istintiva. Ma se tutto intorno è attraente, interessante, divertente come in questo caso, potrà sedimentarsi nella memoria per avere ulteriori sviluppi futuri, come nelle azioni di acquisto e ricerca di informazioni.

FUOCO

Fiamma.

Giallo. Rosso. Blu.

Il movimento è sensuale, ammaliante.                                                                              

La fiamma avvolge, fagocita tutto e sembra alimentarsi da se stessa.                                     Il rumore che si genera è sordo, nello stesso tempo scoppiettante, non riesce a liberarsi, è prigioniero. Vittima di quell’energia, di quella forza senza eguali.         

Il fuoco vuole solo vincere.                                                                                                       Il fuoco che si ha dentro, spinta alla vita, al desiderio. In un infinito ritorno alienante a se stesso. Brucia. Vive.                                                                                                        

Sfiora la morte. Sopravvive, sempre.                                                                                Ambizione, voglia, potere.                                                                                                    Amore.                                                                                                                                      Il fuoco ci guida verso un altrove, verso quello che ci aspetta.                                              Ci ingabbia nel desiderio perverso dell’altro.                                                                         Calore cocente nel cuore e nell’anima, disperato senza essere ricambiato.                         Pazzia.                                                                                                                              Calore che diventa follia assurda e perfetta, nello scambio tra corpi che bruciano nella seduzione.                                                                                                                       Passione.                                                                                                                       Rosso.                                                                                                                                 Rosso negli occhi, sulle gote, nelle vene.                                                                            Luce guida nell’assenza di tempo.                                                                                 Sospensione piena di vita assetata e fluidamente libera.                                           

La fiamma rallenta, flebile sulla brace di ciò che resta.                                                         La fiamma lascia dietro sempre qualcosa, di sè o di altri.                                                                        Indelebile scintilla del ricordo.

DENTRO UN VIAGGIO

Con questo racconto ho partecipato al Concorso Montesilvano scrive 2012. Rientrato tra i primi 50, oggi non compare tra i 24 finalisti. Posso però condividerlo con voi che seguite il blog. Buona lettura!

C’è un’energia dentro ognuno di noi, che nasce e cresce, si alimenta di tutto ciò che è fuori, che è oltre noi stessi.                                                                                                            Ha bisogno degli altri, di ulteriori visioni, sensazioni e scambi.                                           Una sete, una fame, desiderio.

Gaia la sentiva muoversi e agitarsi. Quella forza voleva esprimersi, prenderla per mano e renderla compagna di viaggio.                                                                                             Era la Conoscenza.                                                                                                              Era la voglia di scoprire e spostarsi.                                                                                    Sta volta però si presentava in un momento in cui Gaia avrebbe solo voluto allontanarsi da tutti. La fuga.                                                                                                                         Ma anche la fuga restò affascinata dallo spirito della Conoscenza, la vedeva come possibilità più vicina per perdersi nel mondo.                                                                        La valigia aperta nella stanza in disordine, gli abiti sparsi sul letto. I raggi di quel caldo pomeriggio estivo colpivano gli oggetti conferendo ad ognuno un’aura particolare.                 Uno dopo l’altro, Gaia selezionò e infilò i vestiti da portare nella valigia, segnata dai vari spostamenti di una vita. C’era ancora attaccato il cartellino dell’ultimo aeroporto in cui era passata, lo strappò e lo fece cadere sul pavimento.

La valigia è dentro di noi.                                                                                                         Il viaggio è dentro di noi.                                                                                                Scegliere di farlo da soli poi, ha tutto un altro sapore.

Gaia amava quell’adrenalina che saliva poco prima della partenza, curiosità mista a paura. Le gambe che tremano come quelle di un acrobata, consapevole della difficoltà in cui si trova ma anche dell’eccezionalità della sua prova.                                                                   La soddisfazione del mettersi in gioco vince su tutto.                                                                Se poi ce la fai, il calore che abbraccia l’anima è qualcosa di inspiegabile.                              La solitudine.                                                                                                                             Gaia non la temeva, in quel momento addirittura la cercava, ne sentiva l’esigenza.                 Sola aveva affrontato sempre ogni cosa. Ce l’avrebbe fatta anche sta volta.                           Anzi, come sempre avrebbe trovato degli ottimi compagni d’avventura.                                  Perché non esiste un vero viaggio in solitaria.                                                             

Lingue, culture, abitudini diverse si sarebbero mischiate alle sue, per qualche tempo le avrebbe condivise, studiate, scelte e fatte proprie. Quanti volti incrociati in viaggio sarebbero diventati speciali.                                                                                                      Amici che, per le solite stranezze della vita, avrebbero messo meno tempo di quelli che conosceva da anni, a conquistarsi la a maiuscola.

Non si è mai da soli in viaggio.

Il primo compagno è lo spazio, la realtà intorno, con i suoi colori, profumi e gusti.                  Il cibo. Esso è una delle prime cose che si cerca. Un mondo da scoprire, naturalmente quello del posto. Gaia sapeva che al di là dei confini italiani, l’unico imperativo era sperimenta, e per il cibo valeva ancora di più.

Viaggiare per terre infinite, negli occhi della gente, nelle case sconosciute, tra sorrisi e incoraggiamenti stranieri e nello stesso tempo così familiari, è un viaggio negli altri, è un viaggio dentro se stessi. Perché sono proprio gli altri a permetterci di scoprire parti di noi nuove o dimenticate.

La città che ti accoglie è come una persona, diffidente o estremamente coinvolgente.

Gaia salì sulla torre di Carfax, scalino dopo scalino arrivò in cima e la veduta di tutta la città non la lasciò indifferente. Mentre il vento le scompigliava le ciocche bionde, i suoi occhi cercavano di catturare tutti i particolari.                                                                          Oxford era il gotico all’estremo, potrebbe esprimere la parte più scura di ognuno di noi.    Era il buio dell’anima che vaga come un fantasma che ha perso la sua persona, che ha perso chi ama.                                                                                                                           Era il cielo grigio, plumbeo che solo talvolta vede affacciarsi su di esso il sole.                       Oxford era come una poesia che si ha dentro, come la lacrima non espressa.                        Oxford era la ricerca tra le guglie, i campanili, i portici, i vicoli, era la ricerca della propria strada, quella che in realtà tentava di mostrarsi da tempo.                                                       Oxford doveva essere la fuga, la rottura, un momento solo suo invece era riappropriazione. Un posto così triste per certi aspetti, così oscuro che non concedeva consolazione, anzi a volte spaventava Gaia. Le faceva desiderare l’abbraccio del sole, non della neve.

Gaia cercava il fondo, l’estremo, la solitudine reale ed era questa, ce l’aveva.

Aveva bisogno di una tale situazione per riscoprirsi, per capire quanto ancora di vivo ci fosse per lei, per conoscere le sue capacità.

Era importante per continuare il viaggio più importante, quello della vita.

Non era semplice perché in cima alla torre di Carfax aveva sentito di nuovo quella sensazione di non appartenenza, non mancanza di niente e di nessuno.

C’era ancora da scavare in quel vuoto, c’era ancora tanto da cercare o forse, solo percepirlo, con la consapevolezza che ci sarebbe stato sempre.                                         Ma c’era anche altro…

Il viaggio si compie in un altrove, in posti che non si conoscono come in noi stessi.

Dentro un viaggio c’è tutto ciò che già conosci, misto a infinite possibilità che queste hanno di darsi.                                                                                                                            Dentro un viaggio c’è l’esperienza, il valore supremo della vita.

IL SESTO SENSO visioni oltre la vita

Sensibilità.

Empatia.

Contatto.

Tre parole che cadono a pennello in un post per un blog come questo.

Da quando ho iniziato a scriverci, porto avanti il viaggio in tutto ciò che è oltre, oltre regole e convenzioni. Pongo lo sguardo al di là delle apparenze, sicura di trovarci qualcosa di non percepito, nascosto e proprio per questo di maggior importanza rispetto a tutto il resto.     Un discorso che vale ancor più con le persone, con l’altro di noi stessi che in pochi “toccano”.                                                                                                                              Eh sì, perché percepirlo, vederlo non è sempre facile, ma ancora più difficile è accettare la scommessa di avvicinarlo e toccarlo.

L’essenza più nascosta.                                                                                                  L’essenza che resterà sempre.                                                                                                  Forse l’anima.                                                                                                               Ognuno può dargli il nome che vuole.                                                                                       La vita non credo finisca in ciò che vediamo. E forse, ci sono Essenze intono a noi.               Per esperienza personale, penso di averne incontrate anche più di una.                         Angeli?                                                                                                                                Non so. Anche se al momento era l’unico nome che scelsi di dare.                      Probabilmente, perché ero in una situazione critica, l’Essenza, in forma di persona apparve da non so dove, mi ha aiutata, per poi perdersi lungo una strada…Oppure, quelle Essenze di persone che abbiamo conosciuto in vita e non ci sono più… Il discorso si fa complicato, ma non penso occorra stare tanto a pensarci.                                                                      La questione sta nel sentire, percepire. La disposizione soggettiva verso qualcosa di poco definito secondo canoni tradizionali.   

                                                                              “Vedo la gente morta.”

è la frase più famosa de Il sesto senso. Il suo protagonista, un bambino inseguito e disturbato da visioni, si presenta come il nuovo caso per il dottor Crowe, che entra in confidenza con lui, cerca di aiutarlo, di comprendere cosa gli faccia paura.                             Tutto però sembra ricondurre al ricordo di un caso seguito tanti anni prima, ad un bambino che non è riuscito ad aiutare e che ha poi deciso di cambiare la vita del dottor Crowe e di sua moglie.                                                                                                                                Crowe anche non è libero, vittima di un senso di “trasparenza” agli occhi della moglie, con la quale non riesce più a comunicare, che sembra ignorarlo. Crowe sta per cedere, intende smettere di seguire il caso di Cole ma quando il bambino gli confessa la sua paura, è l’inizio del viaggio dello stesso dottor Crowe. Quel viaggio verso la conoscenza della sua Verità.     In realtà, è Cole che sta aiutando lui. Perché Cole non è un bambino malato, ha un dono.

Mi piace interpretare questo film secondo una chiave di lettura che lasci trasparire il messaggio di quanto una sensibilità spiccata, se si vuole fuori dal normale, possa essere una capacità speciale. Una capacità di cui non avere paura. Mi piace leggerci un contatto tra mondi diversi e paralleli, in cui il male non esiste. Perché chi è dall’altra parte può solo saperne di più. Può solo dirci di più. Oppure, in un discorso più ampio, il sesto senso che qualcuno può avere è semplicemente la disposizione verso l’altro di cui dicevo all’inizio. Altro come mondo intorno, persone e cose.                                                                          C’è chi percepisce l’Essenza anche di un oggetto, di un luogo. Forse, c’è anche questo messaggio nel film, dato che si  il regista crea più atmosfere di suspace che horror, predilige i dialoghi, la musica e i colpi di scena.                                                                        La comprensione. Sì, perché il bambino cerca solo di non essere più considerato come uno scemo. La fiducia. Quella che il dottor Crowe si guadagna, attraverso la comprensione e che lo porterà Cole a capire la sua unicità.                                                                             E sul finale, il dottor Crowe può capire anche cosa è accaduto davvero, chi è e dire a sua moglie ciò che avrebbe voluto.                                                                                            Due Essenze, due realtà posso essere di nuovo in contatto, se ci lasciamo guidare dal sesto senso.

TIC TAC premia la creatività

“Una marca è costituita dall’insieme dei discorsi tenuti su di essa dalla totalità dei soggetti (individuali o collettivi) coinvolti nella sua generazione” (Andrea Semprini)

 Questa citazione può essere un punto di partenza per considerare lo sviluppo del marketing in linea con la nuova considerazione dei consumatori: sono dei pro-sumer: producono senso, processano informazioni, consumano criticamente, grazie agli strumenti del Web partecipativo possono organizzarsi e rispondere agli “attacchi” delle marche.       Non rappresentano più un target da colpire.

Le aziende si aprono alla collaborazione, costruiscono un dialogo, passando dalla conoscenza sul consumatore alla conoscenza del consumatore (Cova, 2007).                  La tribù che si raccoglie intorno a una marca è definita brand community e per essa le operazioni di marketing, come nei rituali tradizionali, propongono oggetti di culto, costumi, luoghi, immagini ecc. Promuovendo un certo immaginario, auspicando l’ampliamento della tribù è bene, però, evitare ogni strumentalizzazione: bisogna agire insieme ad essa e riconoscerne le competenze. In questo modo, il sapere collettivo che si instaura, conferirà ai consumatori una competenza più legittima e potrà essere una risorsa a cui l’impresa potrà attingere.

Tic tac rappresenta un caso in cui si evidenzia tutto questo, in particolare se si fa riferimento all’ultimo concorso a premi indetto da questo famoso marchio di caramelle: “Design your Pack”  .

Dal 16 settembre fino al 29 ottobre i consumatori e fan di Tic tac posso creare ogni giorno un proprio pack personalizzato e accedere all’instant win giornaliero, assicurandosi la partecipazione alla seconda fase del gioco e all’estrazione finale.

Dal 30 ottobre al 13 novembre 2012 si potranno votare i pack e il primo classificato vincerà un Macbook Pro, il secondo, terzo e quarto invece, vinceranno una fotocamera Nikon.

Ancora una volta basta seguire un link che porta alla pagina Facebook e scegliere il tema che più si preferisce, usare fantasia e creatività!                                                               Ogni partecipante si mette alla prova, contribuisce allo sviluppo della marca, della componente più vicina all’uso pratico quale il pack e nello stesso tempo si relaziona e “gioca” con tutte le componenti dell’immaginario che ruota attorno al prodotto, alla sua identità e alla sua storia.

Per l’azienda, si tratta anche di un modo facile per fare promozione tramite il potente e veloce strumento della rete, accrescere il processo di fidelizzazione ed arrivare ad avere dati per costruire un database  di e-mail.

Il rumore caratteristico dell’apertura e chiusura della confezione ha dato il nome alle più famose caramelle della Ferrero, nel tempo il brand ha modificato sempre la confezione per celebrare, festeggiare e chissà che da questo concorso non venga fuori qualche altra novità. Magari fresca e divertente come l’idea di un creativo pro-sumer!

INCEPTION Sogno o realtà?

“I sogni sembrano reali finché ci siamo dentro, non ti pare? Solo quando ci svegliamo ci rendiamo conto che c’era qualcosa di strano.” (Dom Cobb)

E’ davvero difficile definire cos’è un sogno, è altrettanto difficile a volte, raccontarlo, descriverlo anche perché nel farlo subentrano meccanismi psicologici che lo alterano.         Il sogno va vissuto. Esiste solo mentre ci siamo dentro. E’ questa la sua essenza.           Non esiste al di fuori di quel momento.                                                                                    Il sogno non ha tempo e spazi definiti, è il virtuale perfetto: il sempre possibile altrimenti.

Personalmente, amo sognare. Il sogno è libertà, è come essere in un film dove tutto può accadere, dove non dominano le regole della vita reale.                                                         Il sogno può essere anche incubo. Ed anche nella forma dell’incubo in fondo non lo temo, è un’avventura paurosa e complessa.                                                                               Quando mi sveglio, il più delle volte, mi dico che vorrei poter restare nel mondo fantastico in cui vivo durante il sonno.                                                                                              Quando mi addormento, lo faccio assaporando il piacere della scoperta inconscia che avverrà nella notte.                                                                                                       Sognare è un’arte, come scrivere, leggere vive di altri, realizzare o guardare un film. Creatività pura.

Un film come Inception non può non essere tra i miei preferiti, come ritengo affascinante il fatto che non si possa raccontare. Inception parla di sogni, e come i sogni, è un film da vedere, da vivere, non da farsi raccontare o da raccontare. Anche perché non ci riuscireste, nel farlo vi rendereste conto che non è così semplice come per altri film.                       Potrei tentare di dirvi che racconta di un uomo, Cobb che è in grado di entrare nei sogni delle persone e carpire segreti dal loro inconscio. Cobb è ricercato e un potente industriale gli promette che lo aiuterà, se porterà a termine un’operazione diversa dalle solite: non prelevare un’ idea ma innestarla.

“Qual è il parassita più resistente? Un’idea. Una singola idea della mente umana può costruire città. Un’idea può trasformare il mondo e riscrivere tutte le regole.”

Cobb inizia così il percorso verso l’agognata libertà, recluta un chimico ed un architetto per completare la sua squadra di complici e a mano a mano, lo spettatore si sdoppia in spettatori attenti a più particolari: una parte della mente resta concentrata nel comprendere il funzionamento del sogno, un’altra parte la trama, un’altra parte le visioni al ritroso, un’altra i dialoghi. In chi guarda avviene una disposizione a scatola cinese, che riflette la struttura del sogno e del film stesso.

“Noi creiamo il mondo del sogno, portiamo il soggetto dentro quel sogno e lui lo riempie con i sui segreti.”

Inception riprende la domanda delle domande: qual è a vera realtà?

Tra effetti speciali, location note, la tarma come detto non lineare ma avvincente e un continuum di sensazioni, emozioni e domande, Inception si insinua nella psiche, nell’anima e nel cuore, mischiando apparenza e verità, fino al dubbio supremo che una verità assoluta non esista. Fino al desiderio di preferire il mondo del sogno, in cui trascorrere una vita intera, alla forse apparente realtà del mondo concreto.

Ambiguità.                                                                                                                          Incapacità di distinzione.                                                                                                            La risposta non esiste.                                                                                                             La vera realtà non esiste.                                                                                                 Esiste la risposta che ognuno di noi si dà. Solo noi possiamo decidere cosa è per noi reale. Esiste solo ciò che noi proviamo, quello che le visioni e situazioni ci suscitano.                      Siamo noi a scegliere.                                                                                                         Non sarebbe male scegliere il sogno come realtà, da cui ci svegliamo per essere nella quotidianità. Considerare che torniamo alla nostra realtà quando andiamo a letto, che di li a poco, ci riapproprieremo della nostra vita, fatta di sorprese, vicissitudini, dolor, gioie, viaggi e incontri. Dove possiamo rivedere persone lontane o che la vita nel mondo ci ha portato via. Visitare posti già visti, altri immaginati e sconosciuti.

        “Perché è così importante sognare?”                                                                                “Nei miei sogni siamo ancora insieme.”

E poi ci sono i ricordi.                                                                                                      Anche in Inception il ricordo ha tutto un suo valore specifico, pericoloso, soprattutto per il protagonista. Ed ognuno noi, credo sappia quanto il ricordo sia sempre, al di là dei sogni, attraente e rischioso, per ciò che è in grado di suscitare e provocare.                          Rifugio  o prigione. O sollievo dal presente.

Il regista C. Nolan, anche in questo film, conserva il suo stile e la capacità di far mantenere in equilibrio le dimensioni reali e quelle che attingono alle illusioni, ai tormenti interiori, agli inganni, il senso di colpa. I personaggi, nella loro eccezionalità hanno un qualcosa di tremendamente familiare, che permette allo spettatore di non percepirli lontani, bensì di entrare in empatia con loro. Forse, perché l’ingiustizia, le paure, la vendetta, il controllo son quanto di più comune tra gli individui e Nolan non propone mai personaggi che ne sono al di sopra.    

        

                                                                                                                                              Ed Inception coinvolge e stravolge almeno una piccola parte del nostro inconscio, insinua il dubbio, un’idea. Una parte di noi vorrebbe contemplarla, ma se il livello di immersione nella pragmatica realtà della vostra esistenza è anche solo nella norma, non ci riuscirete.

A me no che, non siate dei sognatori e non crediate con accettazione a tutto quello che razionalmente vedete accadervi intorno.                                                                       Lasciatevi solleccitare dalle domande, non cercate per forza delle risposte. Inception si conclude proprio nella non importanza della risposta. Vivete il vostro sogno!

Spot 500 L … rimpasto di idee già viste

L come large, light e look.                                                                                                        L come life.                                                                                                                        Questi i punti di forza della nuova Fiat 500L, la nuova auto compatta per la famiglia.

L’intento comunicativo e far passare il messaggio di un prodotto dal design italiano ed innovativo, in linea con l’idea di vita semplice e facile. Perché con la 500L è tutto più funzionale, con maggiore spaziosità, possibilità di personalizzarla, contenere le emissioni inquinanti e gestire senza fili i contenuti mediali a bordo di radio, cellulare, i-pad o smartphone.                                                                                  

http://www.youtube.com/watchv=6Y65nkvLwcI                                                                                                                                             Dal 16 settembre è partita la campagna pubblicitaria in tv con uno spot che cattura l’attenzione grazie alla musicalità della cover di All togheter now dei Beatles e poi incuriosisce per una serie di effetti speciali: un bambino sul sedile posteriore dell’auto, guarda fuori e con  il gesto del pinch to zoom (movimento brevettato dalla Apple e attualmente anche al centro di una diatriba con la Samsung) allarga le immagini che vede. Una scelta attuale, di successo perché strettamente legata al momento e quindi genera il “ricordo” in chi guarda.     

                                                                                                                                                  Il bambino è mancino per cui le dita si aprono ricordando la lettera L declinata nelle parole che definiscono le caratteristiche del prodotto.                                                             Insieme alla sua famiglia percorre strade e momenti di un viaggio in cui tutto cresce, si amplia.                                                                                                                                   Lo spot è in chiave emozionale, vuole arrivare al cuore delle persone, condurle in un percorso giocoso di pochi secondi dove forse, solo alla fine ti accorgi dell’auto.

Io ho dovuto rivederlo più di una volta per cogliere i messaggi, le citazioni tecniche e la stessa protagonista 500L su cui ho poggiato l’attenzione solo sul finale.                             Non sono un intenditrice di automobili, ma la mia sensazione è stata quella di vedere una brutta copia forse della Mini… come pure l’ambientazione che subito non ho sentito familiare, solo dopo ho scoperto che lo spot è stato girato a Madrid.                                 Non so perché, ma oltre non intravedo nulla questa volta, non mi coinvolge né comunica in modo particolare. Anzi, cercando meglio nel eb ho scoperto che per di più la canzone All together now mi è parsa familiare perchè già associata ad uno spot, quello del 2009 della Tim! E se date un’occhiata al videoclip Fuck you di Lily Allen sempre dello stesso anno, scoprirete non poche analogie.                                                                                      Queste restano le mie impressioni e voi cosa ne pensate?