Estathé compie 40 anni ripercorrendo quattro decenni insieme ai consumatori

Non sono mai stata una con il bric in plastica dell’Estathé sempre in mano, penso di averlo bevuto davvero poche volte in vita mia ma oggi per me è qualcosa di speciale.

E’ un prodotto che come tanti altri della Ferrero ha lasciato il segno nella storia della nostra vita, della nostro vivere sociale e della pubblicità del nostro Paese. Estathé compie 40 anni e per festeggiare il compleanno insieme a tutti i suoi fan propone un viaggio nel tempo tra immagini, news e ricordi dal 1972 ad oggi.

La pagina Fb dedicata al brand ogni settimana si riempie di contenuti legati ad un decennio, sono condivisibili e permettono di rivivere attraverso oggetti, invenzioni, status symbol di quegli anni, la vita di ognuno di noi.Inoltre, è possibile anche inviare una cartolina anni ’70, ’80 e ’90 personalizzata con la propria foto.

E io a chi la potrei inviare? Sicuramente a chi mi ha fatto diventare appassionata di Estathé! Per me l’Estathé è il simbolo di un’amicizia, di una ragazza dai capelli ricci, lunghi e rossicci, di lei sorridente con la sua Estathé in mano, è il simbolo del ricordo dei momenti insieme, tra università e spiaggia, confinanti e perfetti entrambi per condividere un sorso di questa bevanda dolce, fresca e leggera.

Io amo il packaging con quella membrana isolante da perforare con la cannuccia nel punto che vuoi tu! Per poi una volta finito di bere, vizio non credo solo mio, continuare a farci buchi su buchi!                                                                                                                         Il bicchiere mono uso fu un’intuizione e nel tempo resta uno degli elementi di successo del prodotto. Riguardando un po’ degli spot pubblicitari di Estathé, si nota quanto il brand abbia saputo accompagnare la società in continuo cambiamento, essendo presente in ogni caso come portavoce di serenità, rassicurazione e spensieratezza.                                     Estathé ha sempre posto l’attenzione sulla sicurezza alimentare e all’ambiente, comunicando, in particolare negli anni ’80-’90, che si trattava di una bevanda sana e naturale, ottima anche per la merenda dei bambini a scuola.                                           Della fine degli anni ’90, ricordo i simpatici messicani, troppo accaldati per fare qualsiasi cosa eccetto per bere l’Estathé. Estathé sponsorizza manifestazioni sportive, il Giro d’Italia in primis come noto anche dagli spot degli anni 2000.

Estathé è disponibile al gusto limone, pesca e verde. Voi quale preferite? La mia amica al limone, io pesca!

I 40 anni di Estathé festeggiano il prodotto e la storia della sua comunicazione, ogni consumatore, credo che come me, avrà modo per celebrare un momento della sua vita, un ricordo e proverà il desiderio di riassaporarlo gustando un’Estathé.

Per questo penso che per prima cosa, manderò una cartolina virtuale alla mia amica e la prossima volta che ci vedremo le proporrò il nostro Estathé!

 

 

 

LACRIMA

Occhi persi nel vuoto, nessun rumore intorno è percepito, ogni suono o voce diventa solo un sottofondo fastidioso, odiato, indifferente.                                                                        La mente tenta una difesa, oppone resistenza, vuole essere forte ma lo smuoversi interno dalle viscere è prepotente.

Un aggrovigliamento. Ribollire e soffocare.                                                                         Ricerca di una via d’uscita.

Il movimento scoppia nello stomaco e si trasmette fino al cuore, gonfio, enorme, ingrossato, rosso e sanguinante. Non ce la fa. Il cuore è sensibile. Non fa resistenza, si lascia travolgere dal dolore. Il dolore infuoca, brucia, consuma fino all’anima, a quel dentro più intimo, profondo e perso che si percepisce così presente solo in questo caso.           Quando è come se se stessi per scoppiare, per annullarti a partire da un’implosione violenta che sfocia in disintegrazione. Non percepisci più nessuna parte del corpo, soltanto il nucleo di te stesso al centro del  petto.

Al fuoco risponde l’acqua, quella salata e amara che sgorga dagli occhi, tra le palpebre che si stringono, che si chiudono con un’energia assurda che se potessi usare in un altro modo ti farebbe spaccare il mondo. I singhiozzi non contano granché, conta e noti l’aria che non hai più, quella che tenti di assaporare da dentro scoprendo che è troppo poca. Quella stessa aria che disperatamente cerchi fuori, nello spazio da cui vorresti scappare, scomparire.

Una lacrima scende sul volto, sullo zigomo che si bagna, segnato con delicatezza eppure ferito da una cicatrice invisibile.                                                                                    Lacrima che arriva alle labbra, di cui senti quel sapore strano.                               Liberazione.                                                                                                                      Sfogo.                                                                                                                                 Vita.

E sì perché, proprio in quel momento così duro, faticoso e pesante di dolore, in quel momento che ti senti annullare, senti anche che sei viva.   E’ quando la lacrima scende che ti percepisci di nuovo, che ti senti un essere vivente. Continui a far sì che le lacrime escano, ancora e ancora. Quasi non smetteresti. Perché non vuoi smettere di sentirti viva.              E’ strano come la lacrima possa essere espressione di dolore e nello stesso tempo un’amica che ti accarezza.

E come un’amica ti ricorda ciò che avevi perso, dimenticato.                                         Quella lacrima contiene ricordi e frasi legate a chi non vorrebbe mai vederti piangere, a chi hai promesso di sorridere sempre, di essere forte.Il cuore batte, ha ripreso a farlo nel modo usuale.

Il respiro si fa più calmo come a voler provare a tranquillizzare l’anima.                             Una mano raggiunge una guancia, sfiora le palpebre.                                                           E’ tutto passato.                                                                                                            Coscienza.                                                                                                                  Coraggio.                                                                                                                              Sai che non è l’ultima volta, la lacrima tornerà altre mille volte e speri, che ogni volta, avrai la forza per sopportarlo e tornare a vivere.                                                                             Lo sguardo non è più perso nel vuoto, lo riporti su te stessa davanti allo specchio.       Riporti gli occhi a guardare altrove, a quelle nuvole bianche nel cielo azzurro.

Assorbi quel colore e la prossima lacrima lo rifletterà.                                                   Lacrima azzurra, lacrima di fiducia, leggerezza e libertà.

UNEMPLOYEE OF THE YEAR by Benetton

Unemployed, non occupato, senza lavoro ma sicuramente ricco di creatività e inventiva. Con un bagaglio di conoscenze costruite durante gli studi e tanta voglia di mettersi alla prova, di entrare in campo eppure la possibilità manca, non viene data. E se viene concessa, spesso porta con sé la sensazione che può provare un funambolo in equilibrio sul filo, ma priva di adrenalina.

Inoccupazione e giovani, tema sociale fortemente attuale e di discussione.  Il brand Benetton, nelle sue campagne di comunicazione ha sempre seguito una linea provocatoria, che facesse riflettere e nello stesso tempo le assicurasse visibilità. Il pubblico a cui si rivolge è quello che può rispecchiarsi nei messaggi e nella cause sposate e, da martedì 18 sembre 2012, quelli con i quali Benetton dialoga sono i giovani inoccupati.       A Londra è stata presentata la campagna Unemployee of the Year, attingendo alla realtà di oggi, mettendo in luce i volti di giovani che andrebbero incoraggiati in quanto capitale umano a cui attingere. La campagna di affissione con protagonisti giovani senza lavoro ma ironicamente vestiti come persone d’affari, esprime il loro potenziale non espresso.     Mostra ciò che potrebbero essere, tenta di portare in evidenza quello che c’è dietro quell’immagine, dietro i loro volti e abiti: il loro valore come individui pieni di risorse. Benetton intende manifestare e trasmettere la sua fiducia nei giovani di tutto il mondo, nella loro creatività e spirito di iniziativa.  Vuole dare la sua possibilità.

La Fondazione UNHATE (istituita da Benetton dalla fine del 2011) propone, ai giovani inoccupati tra i 18 e i 30 di tutto il mondo, di ideare e presentare un progetto di qualunque ambito che potrebbe avere una ricaduta sociale concreta sulla loro comunità.Sul sito web della Fondazione UNHATE la comunità on line potrà votarli e i cento progetti più meritevoli saranno supportati dalla Fondazione che contribuirà a trasformarli in realtà.                      C’è anche un video http://www.youtube.com/watch?v=zKZ3w_Vg4o8 a supporto di questa comunicazione e vederlo fa un certo effetto, è semplice, mostra ragazzi e ragazze di tutto il mondo alle prese con lo stesso problema, nella stessa condizione. Ciò che colpisce è l’espressione che hanno di delusione eppure accompagnata da una luce negli occhi che esprime indignazione e desiderio di cambiare.

Benetton è usuale nello scegliere tematiche sociali e nel creare dibattito, a di là degli interessi di marketing, ancora una volta scelgo di scrivere di un’iniziativa che ha con sé il messaggio del non fermarsi, di guardare oltre e in questo caso al mondo che più mi è vicino.                                                                                                                                     Mi auguro davvero che i fortunati vincitori possano vedere il loro progetto prendere forma, diventare una realtà concreta in cui dare dimostrazione del loro impegno e delle loro capacità. E tutti gli altri avranno dato testimonianza del potere innovativo, creativo e di sperimentazione di cui sono portatori le giovani generazioni.

“Molto importanti sono i giovani, ma non solo i giovani geniali, ma più semplicemente quei giovani motivati e alla forza che possono avere dei ragazzi “normali” nell’età in cui vogliono spaccare il mondo…”( cit. Luciano Benetton) 

Nuova campagna IKEA “Basta poco per cambiare”

La città si sveglia alle luci di un nuovo giorno, la città prende vita sotto la spinta di un forte desiderio: cambiare.

Sulle note della canzone To build a home della Cinematic Orchestra la voce e gli occhi di una donna annunciano che è arrivato il momento di dire basta, la seguono bambini, una signora anziana, giovani amici, una coppia gay e vicini di casa sui balconi che, respirando un’aria nuova che parte da dentro se stessi, compiono una prima azione che segni il cambiamento.

Sono tutti diversi tra loro e nello stesso accumunati da questa voglia e dalla scelta di un prodotto Ikea.

http://www.youtube.com/watch?v=YYKXXZLucSk

 Il brand svedese infatti, ha sempre dichiarato che il suo obiettivo è Creare una vita quotidiana migliore per la maggioranza della gente e con la nuova campagna on air in questo settembre 2012, entra nelle case di clienti fidelizzati, le arricchisce di nuovi colori e offerte. Tende la mano a nuovi clienti attraverso lo slogan “basta poco per cambiare”, si offre come partner nella scelta di intraprendere una svolta, con poche e semplici azioni.

Fantasia, leggerezza, piacere, autenticità, socializzazione, apertura…

Con il nuovo spot, realizzato dall’agenzia 1861united, Ikea propone la sua filosofia, intende trasmettere positività e comunicare un messaggio di sollecitazione: la volontà di cambiare non può cessare di esistere, anche con risorse limitate.

Ed Ikea, nel suo settore, propone soluzioni adatte a tutte le esigenze e per tutti. Ha dimostrato come sia possibile avere prodotti di design e funzionali  a prezzi vantaggiosi.      Il nuovo catalogo 2013 è disponibile on-line e lo spot è in Rete sulla nuova  piattaforma  www.spazioalcambiamento.it

Ikea basa da sempre la sua immagine e comunicazione sulla vicinanza alle persone, ai loro desideri ed esigenze e lo fa entrando nelle loro casa, nei luoghi della condivisione e dell’esperienza di ogni piccolo momento di vita.                                                                     E affinché ogni momento sia  speciale ed abbia il sapore della familiarità basta ci sia un prodotto Ikea, scelto e montato con dedizione da soli… basta davvero poco per sentirsi a casa, per sentirsi una famiglia, per godere della condivisione di un luogo, di un oggetto … il tutto intorno a stessi valori, ad uno stesso sentire. 

Il pay off è Ikea-spazio alla vita e racchiude tutto l’universo del mondo Ikea, elemento distintivo dell’azienda, l’accompagna da sempre e continuerà sostenendo le iniziative di successo di questo brand.

 

 

LO SPECCHIO DELLA VERITA’ NASCOSTA seconda parte

Ma Zoe voleva vincere. Non aveva mai sopportato le sconfitte. Non l’avrebbe più evitata. Da quella mattina si concedeva ogni volta del tempo per sfidare quella figura.                    Non la temeva nello specchio del suo bagno, né in quello delle vetrine, né in quello sulla parete del suo bar preferito, né in quello del corridoio di casa di sua cugina. Neppure in quello dei bagni pubblici, stazione, aeroporti, uffici, ascensore… Tutto questo era una persecuzione. E poi quegli incubi non avevano smesso di manifestarsi.

Lo specchio era un confine. Limite tra il mondo di qua e quello di là.                                       Tra presente-passato- futuro.                 Confine spazio-temporale.                          Dove si trovava quella Zoe?                          Zoe non lo sapeva ma era intenta a scoprirlo. La sua tela nel frattempo si era arricchita di simboli e le sensazioni che Zoe provava quando li disegnava erano di paura, ribrezzo ma anche forte energia. Un’energia che non portava con sé nulla di buono.                      Zoe girava intorno alla tela, illuminata da una lampada. Era buio nella stanza.                       Si sentì invadere da un vortice, si accasciò per terra. Spalancò gli occhi. Ricordava.            Il vento di una tempesta faceva sbattere le finestre della casa, Zoe era raggomitolata in un angolo della cucina, si stringeva il vestito di lino bianco che le aveva cucito la mamma.      La mamma le aveva detto di andare in camera, di chiudersi dentro. Zoe però, spaventata non era riuscita a fare le scale, così appena aveva notato quello spazio tra la parete e il mobile in cucina, si era nascosta lì. La sua mamma urlava.                                                    Il vento soffiava con violenza.  Zoe voleva chiamare aiuto, chiamare il suo papà, ma non era lì. Non c’era nessuno nelle vicinanze. Ad un certo punto non sentì più niente.         Tremante si alzò e si avviò verso il salone, vide sua mamma legata, immobile per terra.   Era viva. E quell’uomo che di spalle rovistava nell’armadio. La cassaforte, che era stata sempre nascosta da uno specchio, aperta, svuotata.                                                         Zoe passò accanto al camino, afferrò uno degli accessori per la legna e lo strinse forte.    La madre la guardava con apprensione. L’uomo era ancora di spalle. Zoe lo avvicinò, alzò il braccio e colpì sulla schiena. Quello ebbe un sussulto e urlò e nello stesso tempo in cui si voltò, Zoe scagliò un altro colpo sulla faccia e un altro ancora, ancora. Lui tentò di afferrarla ma non ci riusciva, barcollava e lei infieriva senza sosta, senza controllo.                     Schizzi di sangue, tagli, rigonfiamenti, quel volto stava cambiando forma. Cadde a terra. Zoe aiutò la madre a rialzarsi. La donna afferrò l’oggetto, si chinò sul corpo dell’uomo, voleva assicurarsi che fosse ormai innocuo, stava per colpirlo… quando notò che perdeva sangue da un orecchio.                                                                                                       Zoe aveva ricordato. Si sollevò, andò in bagno. Si guardò nello specchio, pensò al giorno del suo decimo compleanno, pensò al suo abito bianco macchiato di sangue, pensò a sua madre. Aveva rimosso tutto. Ricordava di quel ladro, che si era nascosta e che poi sua madre aveva raccontato di essersi difesa. Tutti avevano creduto alla sua versione.          Era Zoe quella nello specchio. Era lei l’assassina.                                                              Era l’energia della morte quella che percepiva. Si era riconosciuta.                         L’opposizione la caratterizzava ancora.                                                                               Forse, era giunto il momento di scegliere. Angelo della vita o angelo della morte?       Chissà come sarebbero stati i prossimi risvegli, sotto la luce soffusa del sole oltre la finestra, tra particelle di polvere nell’aria, in un’atmosfera gelida e dolce…

LO SPECCHIO DELLA VERITA’ NASCOSTA prima parte

Particelle di polvere sospese nell’aria, la luce penetrante e debole le rendeva visibili, un odore acre diffuso; la stanza comunicava sospensione e chiusura.                                     Gli spazi parlano, quello che c’è dentro pure.                                                                     Zoe arricciò il naso, si strofinò gli occhi e riportò il cuscino alla testa del letto. Ama dormire nel senso opposto, ma al risveglio tutto doveva tornare al proprio ordine.                      Ordine e sistemazione.                                                                                         Anticipazione, previsione e controllo.                                                                             Disordine e caos.                                                                                  Imprevedibilità.                                                                                                           Contingenza.                                                                                                                       Due mondi opposti e mescolati nel groviglio della sua mente, della sua stanza, della sua vita. Un formicolio sotto i piedi, le gambe distese.                                                                 La luce filtrata dalla tapparella arrivava a colpire i suoi occhi appena aperti, piccoli.              Il fastidio era come un prurito sotto le palpebre, insopportabile.                                            Si scoprì, tirò giù il lenzuolo e il corpo nudo fu sfiorato dagli altri raggi di sole penetranti nella penombra. Zoe seduta sul letto, si passò le mani tra i capelli color rame, spettinati. Sentì forte il bisogno di andare in bagno e così, posò i piedi sul tappeto e poi, sul pavimento freddo di marmo.

Il bagno aveva le piastrelle blu, uno spazio di infinità racchiuso in pochi metri quadri. Passò davanti allo specchio sopra il lavello entrando e uscendo.           Lo evitava, come sempre, quando la notte era stata insopportabile.                                                        L’incubo era sempre lo stesso, breve, senza soste, oscuro. Una vertigine in cui perdeva pezzi di sé.        Si fermò davanti al cavalletto, la tela era incompleta, non trovava pace. Segni di tempera coperti, corretti, cancellati. Colore su colore. Macchie. Lacrime. Graffi. Tentare di dare una forma alle scene notturne si stava rivelando inutile. Era più dura del previsto. Ma la salvezza passa per il dolore, come la libertà.                                                                       Essere libera da se stessa, da un passato che ignorava, prevedeva che, prima lo guardasse in faccia, riconoscesse e affrontasse.       

Zoe tornò in bagno. Fissò lo specchio. Si lavò la faccia, se l’asciugò con un panno di spugna nera e poi pose di nuovo gli occhi su di lei, lì sul vetro: i capelli si muovevano agitati dal vento, gli occhi si scurivano, la pelle andava schiarendosi . Era vestita di bianco, le pieghe del vestito macchiate di sangue, le mani lunghe e sottili come artigli.                       

Zoe continuava a guardarsi, a guardare quell’immagine riflessa. Era lei? Non era lei? Sì che era lei. Ma nella realtà non era così in quel momento… si toccò i capelli, erano immobili, non c’era nessun vento a scompigliarli, in quella stanza dominava l’immobilità, il silenzio.        Si accarezzò il viso, la sua pelle e sapeva che di non essere così bianca come il latte. Sapeva bene anche di che colore erano veramente i suoi occhi.                                            Scese con le mani sul corpo, non aveva abiti addosso. Si accarezzò i seni, li sentì morbidi, sodi, vivi. L’immagine nello specchio la fissava e Zoe fissava lei. Era una sfida tra due facce diverse, tra due donne diverse, facce di una stessa persona.           

La lotta durava da una vita e stava continuando.

COCA-COLA dai manifesti, gli spot tv ai 50mila Like su Facebook

Coca-cola ha sempre fatto della pubblicità un’arma vincente, innovando e anticipando.    Alle origini usò l’idea di coupon gratuiti per l’assaggio nelle strade di Atlanta, poi nelle campagne di promozione invernale sfruttò l’immagine di Babbo Natale, che dal 1931 iniziò ad apparire sui manifesti insieme allo slogan La pausa che rinfresca.  

Nacque la tv e per Coca-cola si aprì la strada verso nuovi consumatori. Il primo spot è del 1950 e da allora si accompagnava sempre a jingle azzeccati e che rimandavano la mente di tutti a quel prodotto.

Positività, convivialità, unire le persone sono i valori che hanno guidato e continuano a sostenere la comunicazione di Coca-Cola dagli anni ’60: tempo di conquiste, speranze e tensioni. Negli anni ’70, di fronte a una società in cambiamento e ricca di nuove mode, Coca-cola mirò ad associarsi all’idea di tempo libero, ad essere al centro dei pasti e dei momenti di relax e divertimento.

Coca-cola stava diventando qualcosa di altro per i consumatori, aveva a che fare con il costume. La sua comunicazione toccava le persone sempre più, arrivava ai loro cuori.       E’ del 1989 lo spot più romantico http://www.youtube.com/watch?v=EyaDFTRQHU4          con immagini degli incontri di giovani innamorati che condividono una bottiglietta di Coca- cola.                                                                                                                                      Un orso polare davanti all’aurora si gusta la sua Coca-cola negli anni ’90 http://www.youtube.com/watch?v=SfIbBNuORHU                                                         Mentre nei anni 2000 al centro della comunicazione c’è il valore della felicità, raggiungibile bevendola e gustandosi un momento semplice e speciale, come invita il claim “Open happines/Stappa la felicità” http://www.youtube.com/watch?v=rKV0kR6Ih0s

http://www.youtube.com/watch?v=bg_zxsxyKyM

http://www.youtube.com/watch?v=icV7fGqPZ2I

fino a oggi http://www.youtube.com/watch?v=bg_zxsxyKyM

Ed in questi ultimi anni in cui la comunicazione si diffonde soprattutto sui social media, Coca-cola continua a ottenere successi. La sua felicità che viaggia su Facebook, ha contagiato 50 milioni di fan.

Per festeggiare i 50mila Like, Coca-cola dà il via ad un’iniziativa che mira a rendere il mondo un luogo felice: grazie ad un’applicazione su https://www.facebook.com/cocacola ognuno può impegnarsi a partecipare in prima persona, proponendo idee per una causa, un’invenzione, un’iniziativa sociale ecc. Una di loro diventerà realtà e sostenuta da The Coca-cola company.

Viviamo gli anni della condivisione, del web 2.0, delle reti sociali e di mercati in cui i consumatori sono protagonisti attivi e consapevoli: eppure tutto questo per Coca-cola è sempre stato l’orizzonte di riferimento, una modalità di approccio comunicativo che ha anticipato i tempi e garantito i maggiori successi.

MATRIX La realtà tra verità e apparenza

Oggi compie gli anni Keanu Reeves e per me che, tra tutti i personaggi che ha interpretato, è prima di tutti Neo del mio film preferito, come non cogliere l’occasione per scrivere di Matrix?

Keanu Reeves ha negli occhi qualcosa di speciale, trasmette calma e tormento insieme, ha un fascino sottile e non scontato, un magnetismo e una sensibilità che devo appartenergli profondamente.

Solo così riesco a spiegarmi come percepisco qualcosa di comune nei personaggi che interpreta.

Forse, Keanu Reeves, canadese, ma nato in Libano da genitori anglo-americani, è un po’ proprio come Neo sempre alla ricerca di qualcosa, in balia di una vita che lo ha visto presto toccare il successo nel mondo dello spettacolo e nello stesso tempo gli ha dato sofferenze a iniziare dall’abbandono del padre, una sorella malata, poi la perdita del migliore amico, della figlia e della donna che amava.

Tra luci e ombre, come nella vita di ognuno, a fare la differenza penso sia il modo di porsi e il livello di percezione di ciò che si vive.

Predestinazione, scelta, libero arbitrio sono temi centrali proprio del film Matrix.

Matrix è la domanda e la risposta.

Fulcro di una mia personale e sempre presente percezione dell’assenza di una Verità.

Nulla è ciò che sembra, la Verità non esiste… Chi siamo davvero?

Quanto la prospettiva secondo la quale vediamo la realtà e viviamo la vita, influisce su di noi?

Matrix dà la sua risposta. Ipotizza che il mondo che vediamo sia solo un’illusione creata dalle macchine. Quelle stesse macchine di cui hanno avuto bisogno gli uomini e che ora, necessitano degli uomini per esistere.

Energia. Esseri “coltivati”. Guerra macchine-uomini.

In questa realtà vive anche Neo, un hacker sul cui computer un giorno, iniziano a comparire frasi criptate riguardo a Matrix. Da questo momento, la sua curiosità e l’incontro con la misteriosa Trinity e l’enigmatico Morpheus lo portano ad intraprendere il viaggio alla scoperta di Matrix e soprattutto di se stesso.

E’ lui o no l’eletto? L’unico in grado di vincere le macchine e salvare il genere umano?

“Matrix è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai a lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.”

Matrix è il primo film della trilogia dei fratelli Wachowski, a cui sono seguiti Matrix reloaded e Matrix Revolution.

Tra acrobazie, arti marziali, effetti speciali e atmosfere da fantascienza Keanu Reeves dà forma al suo personaggio, scoprendolo pian piano. Con la stessa tensione emotiva che Neo stesso comunica agli altri personaggi che incontra.

Simbologie e richiami, da parte di nomi di luoghi e personaggi, ad altri significati si intrecciano in un labirinto di rimandi e appassionante scoperta. Nulla è lasciato al caso.

Il tema della ricerca della verità, attraverso la rinascita, l’idea della scelta e riferimenti filosofici che rendono i dialoghi a volte poco comprensibili, ma carichi di tutto il valore dei riferimenti alla filosofia occidentale tra Metafisica, Epistemologia e Etica.

Il tema dell’eroe inconsapevole coinvolge da sempre e  questo film se lo gioca a modo suo.

Il topos Platonico del Mito della Caverna ritorna, insieme al Cogito ergo sum di Cartesio e tutto si sposa con dettagli derivanti dal Buddismo Zen, a dimostrazione che quello che siamo, che la storia del nostro pensiero non ha confini. Le domande che ci facciamo da secoli e continueremo a farci sono le stesse per ogni cultura, daranno ancora altre possibili risposte e poggeranno sempre sulle radici del passato.

Tante sono le frasi che ho apprezzato nel film, ma quella che più ricordo e che a volte mi torna in mente e per qualche strana ragione ha i suoi effetti o mi piace pensare che l’abbia è:                                                                                                                                     «Don’t think you are. Know you are.»                                                                               «Non pensare di esserlo. Convinciti di esserlo.»

E se ripenso a cosa provoca in Neo durante quella scena dell’addestramento, allora sorridendo riesco a lasciarmi tutto dietro, paura, dubbi, scetticismo. Sgombro la mente.