OAK OAK e il gioco con gli oggetti urbani

Luoghi.

Racconto.

Emozioni.

Persone.

Quante sfumature assumono i luoghi in cui passiamo ogni giorno, lungo i quali si dispiega la nostra esistenza?                                                                                                                      Ogni luogo è carico di simboli e segni, ne determinano una moltitudine di significati fino a definirne l’anima.                                                                                                                Ogni luogo ha un’identità che va oltre i limiti spaziali, è qualcosa di vissuto.                          E’ spazio esperenziale.

Sentimenti.

Ricordi.

Suggestioni.

Ogni luogo comunica.

Ogni luogo si trasforma.

Come muta la loro funzione sociale. Come cambia il nostro modo di viverli.                         La soggettività del singolo ha un forte potenziale, la sua capacità interpretativa non ha limiti e può disegnare percorsi infiniti.

OakOak sa farlo in modo speciale, fuori dalle convenzioni.

Dove c’è un palo conficcato nel cemento, lui vede un mostriciattolo, un tubo nel muro diventa la proboscide di un elefante…                                                                            OakOak è un writer francese che “si sollazza a giocare con gli elementi urbani”, gli spazi grigi delle città si fanno campo di gioco, regno di anatre di Duck Hunt, ricci della Sonic ecc. Davanti alle sue creazioni, sembra di essere in un video game. Di avere a portata di mano i mondi che di solito viviamo solo attraverso uno schermo.

OakOak osserva con occhi diversi e rielabora gli oggetti del mondo fuori a suo modo.

Giocare nei luoghi.

Scomporre e ricomporre i protagonisti apparentemente senz’anima della città è un divertimento senza egual. : gli si dà colore, forma e parole rendendoli vivi.

E perché non provare tutti a fare come OakOak?

Quella porta del vicino, il tombino davanti casa o il segnale stradale all’angolo della vostra strada come vi appaiono con un p’ di fantasia?

Vi ricordano qualcuno? Quale buffa figura animata vi ispira?

Io se scorgo oltre l’orizzonte già inizio a immaginarne varie…. Ed è così divertente!

Modelle disabili nella mostra “LA FEMMINILITA’ E’ DONNA”

Grazia, sensibilità, cura per sé e per gli altri fanno di un essere particolare come la donna una persona femminile.  

La femminilità non ha canoni, non segue regole, non è uguale per tutte.  

La femminilità si scopre, si conosce dentro se stesse e attraverso gli altri.

Ognuna ha i suoi momenti, quelli nei quali si sente più femminile, i suoi rituali che passano per un certo modo di vestirsi, truccarsi, muoversi.                                                             Nulla è stabilito, tutto è graduale nel tempo.                                                                            Si cresce, ci si scopre.                                                                                                             La femminilità è oltre la bellezza fisica, è l’essenza della donna, che trova in un bel corpo un buon alleato.

Il tema della femminilità è al centro della mostra “La femminilità è donna” organizzata da Cinzia Rossetti.                                                                                                                Cinzia è una modella disabile, bella intelligente e piena di idee.                                           Tempo fa aveva mandato un suo book ad un’agenzia fotografica e proposto di sostenere che anche la donna disabile è affascinante, sensuale, ma non ha avuto l’attenzione che sperava.                                                                                                                         Eppure, altrove non è così.     

                                                                                               

In Inghilterra, ad esempio, c’è un’agenzia che si occupa esclusivamente di modelle e modelli disabili.

Io, come Cinzia, vorrei che anche il mio Paese si dimenticasse dei pregiudizi.

Un piccolo modo per sostenere Cinzia è dare spazio al suo progetto: ha contattato altre ragazze disabili per 42 scatti che hanno costituito il cuore della mostra speciale che è stata esposta a Brescia.

Colori.

Profumo.

Attrazione.

Le immagini di 15 modelle comunicano quella meraviglia, quell’entusiasmo imprigionato nei particolari del viso, del sorriso, del modo di muoversi di ogni donna.

Cinzia intende andare avanti, che sia una mostra itinerante in tutta Italia.

Vuole che il suo messaggio abbia spazio, che se lo prenda.

Ed è giusto che sia così.

E’ giusto annientare gli stereotipi sociali, che riguardano si donne che uomini.

SPETTRI NELLA PIOGGIA Seconda parte

Un’auto poco dopo stava percorrendo la sua stessa strada, dopo che si era immessa ad un incrocio.                                                                                                                                                 Le si avvicinò.                                                                                                                       Alyson si spostò sulla destra più che poteva . Sperava che la sorpassasse, così se ne sarebbe liberata. Invece, niente. Quando quell’auto sembrava iniziare il sorpasso, si avvicinò e si avvicinò ancora all’auto di Alyson affiancandola.                                              La stava spingendo fuori strada. 

Alyson non vedeva che l’oscurità, abbagli di luce quando apparivano lampi nel cielo. Il fiume d’acqua non smetteva di scorrere. 

Alyson era piombata in un vortice e qualcuno la stava accompagnando verso il precipizio. Pensò che stava accadendo qualcosa, che andava fermato, ma non sapeva come. Udì un ruggito. Udì la pioggia. Udì il vento, il motore dell’auto… tutto insieme, violentemente come una raffica di colpi in quella notte d’estate.  

Un attimo prima di cedere, volse un ultimo sguardo alla luna. Sentì un brivido. Tese le braccia e rafforzò la presa sul volante. Spinse verso sinistra. Resisteva.                     Spinse di nuovo e se ne liberò.         La strada era di nuovo solo sua.       La luna le fece venire un dubbio. Allora, Alyson si fermò e prese il crick dal bagagliaio.                     Con quell’oggetto pesante tra le mani, si incamminò verso all’auto all’auto che era finita fuori strada. Si fece coraggio e aprì lo sportello: non c’era nessuno.                 Il lampo illuminò la zona, la macchina era vuota. Alyson non sapeva che pensare.             Da dove era uscita quell’auto? Chi c’era? Perché aveva tentato di farla sbandare?               Il respiro le accelerò nel petto, Le gambe non la tenevano… Era meglio tornare indietro.      E corse.

In un angolo c’erano ancora quegli occhi gialli. Salì di scatto sulla sua auto, che a velocità sfidò il buio, la pioggia, il vento e la riportò a casa.                                                               La casa era vuota, una finestra rimasta aperta sbatteva. La luce era saltata.                 Alyson tirò fuori dalla borsa l’accendino, afferò una candela della sua collezione su uno scavale nell’ingresso e l’accese.                                                                                             Si svestì e si buttò nel letto, tremante.                                                                                     Le arrivò un messaggio sul cellulare. Una delle sue amiche le ricordava di aprire il regalo che le aveva riportato dall’ultimo viaggio. Il pacchetto era in borsa, lo aprì e si trovò a stringere tra le mani una statuina dal corpo umano e il volto simile a quello di un cane, ma con i denti più affilati. La statua era dipinta di nero con rifiniture rosse. Gli occhi della figura rappresentata erano gialli.

Quella notte, Alyson poteva solo attendere che la luna lasciasse al più presto il cielo al sole.

SPETTRI NELLA PIOGGIA Prima parte

L’auto procedeva a velocità costante, il piede non spingeva sull’acceleratore, la strada era bagnata e l’alcool in corpo non garantiva i migliori riflessi.                                              Capelli  bagnati.                                                                                                               Gocce d’acqua sulla pelle.                                                                                                 Abito nero con rose rosse.                                                                                                   Era stata una serata unica, Alyson vedeva scorrere nella mente ancora flash di quei momenti appena vissuti. I  sorrisi. Ricordi passati, di un tempo che non tornerà. Le lacrime. Il vino. I pettegolezzi. Il traguardo raggiunto da festeggiare.

Quando si erano salutate, aveva dovuto correre sotto la pioggia, sotto un temporale violento per raggiungere la sua auto. I piedi scivolavano dentro i sandali dorati, il vestito era bagnato.           Alyson mise in moto. Adorava sentire il rombo del motore.                                    A quel rumore si unì quello dello scrosciare forte della pioggia. Pioveva, pioveva eccome se pioveva. L’acqua cadeva con tanta violenza che pareva stesse per sfondare la carrozzeria. La pioggia continuava a scivolare sul vetro, a nulla serviva il muoversi ritmico dei tergicristalli.

Un lampo illuminò lo sfondo davanti. Fu come fare luce in un tunnel oscuro, dove la luce dei fari dell’auto si perdeva.                                                                                                Buio.                                                                                                                                  Tuoni.                                                                                                                                Foglie spazzate via, terriccio sull’asfalto. Vento.                                                              Alyson rallentò. Uno squarcio si aprì tra le nuvole.                                                              Alzò lo sguardo alla luna. Luna bianca, piena.                                                                     Poi, una nuvola si spostò tanto da coprirla di nuovo.                                                      Alyson tornò con lo sguardo alla strada. Rallentò in prossimità di una curva cieca, l’auto si girò ma riuscì a frenare.

Davanti vide due occhi gialli, puntò i fari alti e scorse un muso e quattro zampe, sembrava un lupo, ma non era un lupo. Non capiva proprio che animale potesse essere.                     E così, alla pioggia che cadeva, al motore che tornò a rombare si aggiunse il verso di quell’animale, un ruggito stranissimo.                                                                              L’auto ripartì. L’animale correva e la seguiva.                                                                   Nello specchietto retrovisore c’era ancora, non spariva.                                                Quegli occhi gialli erano immobili, non la mollavano.                                                      Spinse al massimo sull’acceleratore. Tuoni, ancora tuoni.                                              Sbucò di nuovo la luna. Alyson si guardò indietro. Non c’era più nulla.                          Pensò che desiderava solo tornare a casa.                                                                            Ma quel viaggio in solitaria nella notte non era ancora finito.

MIRO! Poesia e luce

“Lo spettacolo del cielo mi sconvolge.                                                                                 Mi impressiono quando vedo la luna crescente o il sole in un cielo immenso” . (Mirò 1959)

Questa frase dà il benvenuto ai visitatori della mostra Mirò! Poesia e luce al chiostro del Bramante a Roma. Racchiude l’essenza dell’arte di Mirò, mi ha anticipato a parole quello che mi sarebbe stato trasmesso di lì a poco attraverso le opere pittoriche: lo stupore per il mondo della natura, il fascino per il mistero della vita tra luci e ombre, la sensazione di piccolezza di fronte all’ immenso universo che ci circonda e il tentativo di comprenderlo, giocando tra scomposizioni e ricomposizioni.                                                               Spensieratezza e malinconia insieme.

L’esposizione è incentrata sulla produzione relativa al periodo a Palma di Maiorca, dal 1956 al 1983, anno della scomparsa dell’artista. Procedendo tra le opere, stelle stilizzate in asterischi, lune, soli appaiono come elementi ricorrenti tra linee cariche della passione per la calligrafia e l’arte orientale, forme colorate e schematiche .                                  

Triangoli,rotondità.  Rosso, giallo, blu. Schizzi a matita intecciati a quelli a tempera.                                                                                          

Esponente del surrealismo, anche lui attinge all’inconscio, al sogno e si lascia andare in un percorso senza coscienza dove lo porta il colore. Colore in senso materiale. Le macchie pesanti, l’impronta delle sue mani, il miscuglio di materiali diversi. Ispirato anche dall’espressionismo astratto americano infatti, Mirò sviluppa uno stile gestuale e dinamico, pittura anche con mani e dita, cammina sulla tela stesa sul pavimento e predilige anche formati più grandi.                                                                    La sensazione che ho provato è stata voglia di finirci dentro, buttarmi sul quadro per toccare quel colore, metterci le manie dentro.  L’intento di Mirò era quello di far provare una sensazione fisica per arrivare all’anima, l’ho letto solo dopo e direi che con me c’è riuscito.

La maggior parte dei quadri sono senza titolo, in linea con quel processo che fa dell’opera d’arte qualcosa di legato all’interpretazione di chi la vive, di chi la guarda. Ma alla fine del percorso tra le sale, mi ha assalita un’altra riflessione: Perché dare un significato, chiederselo? Credo non conti neanche quello soggettivo di me spettatrice.  Il valore sta nell’emozione, in ciò che si prova. Ed è ogni volta diversa.

Sagome e figure stilizzate si alternano all’opposizione bianco/nero.                              La intenderei come vita/morte, leggerezza/drammaticità.                                            

Una personalità serena quella di Mirò, eppure inquieta, in cerca.                                    Segni di colore schizzati sulla tela, con violenza, anche rabbia forse.                                    E poi, la mescolanza di materiali, tempera, legno, chiodi e tanto altro.

La parte più comunicativa della mostra è quella in cui è ricostruito, in parte, lo studio di Mirò, che offre un’idea di come lui lavorasse, spesso concentrato su più opere contemporaneamente .Un vero e proprio laboratorio in cui si circondava di oggetti di ogni tipo, dai giornali a piante, libri, pennelli e tanti altri strumenti dai quali attingere ispirazione.

“Niente è stupido e banale, tutto può essere trasformato. Ne può nascere qualcosa di meraviglioso”.                                                                                                                    L’arte permette di farlo con tutto ciò che si trova intorno e penso che Mirò volesse trasmettere l’idea di farlo anche con la vita.                                                              Sperimentare. Con passione, attenzione, e cura.

TUTU’ PROJECT: l’uomo in rosa contro il cancro

 La ricerca ha un valore inestimabile, ancora di più lo ha la sensibilizzazione a certi temi. Così come la conoscenza, parlarne, perché quando non si conosce qualcosa se ne ha paura.

E la paura va affrontata, aggirata e vinta. Bisogna provarci.

Ho trovato molto simpatiche delle foto che da tempo sono visibili sul web. Son quelle di un uomo in tutù rosa.

Sta girando tutto il mondo così.

Al di là dell’impatto iniziale che suscita un sorriso, queste foto esprimo qualcosa di più. Un grande coraggio. Un grande amore.

Chi è quest’uomo?

Bob Carey è un fotografo, ma prima di tutto è un uomo, e come tutti gli uomini la via gli regala soddisfazioni e delusioni, sofferenze. Rischia di togliergli ciò che di più caro ha.

Sua moglie Linda da tempo lotta contro il cancro al seno.

L’iniziativa di Bob si chiama Tutù project (www.thetutuproject.com) ed ha come obiettivo quello di raccogliere fondi per la ricerca.

L’idea era nata per finanziare la compagnia di ballo Ballet Arizona: vestito solo di un tutù, Bob aveva iniziato a mettersi in posa in strade, parcheggi, metro, campi con animali, spiagge, boschi. Da quando ha saputo che sua moglie è malata di tumore al seno, ha pensato di dare un nuovo volto alla sua iniziativa.

Dal 2003 sta continuando a girare e farsi fotografare, dalla Calinfornia a Las Vegas, New York fino in Europa, sta continuando a raccogliere autoscatti che fanno parte di un libro che Bob ha autoprodotto dal titolo “Ballerina”. I ricavati andranno a centri oncologici.

Le foto oltre a cogliere il protagonista in ambienti differenti, ne racchiudono anche la solitudine, una velata malinconia che però non riesce a vincere. Infatti, Bob mi trasmette un senso di vitalità. Mi fa sorridere e riflettere nello stesso tempo.

Non è solo, anzi sulla strada del suo viaggio penso incontri tante persone, è portatore di un messaggio di speranza. Il suo impegno non è soltanto personale, è quello di tutti coloro che credono nella vita, sempre.

E’ quello di coloro che si donano per gli altri, continuando a fare ricerca.

Il suo intento, per me, è ancora più convincente perché messo in atto da un uomo, perché il cancro al seno non deve essere dibattuto solo tra donne, non va etichettato come una sofferenza solo femminile.

Dall’altra parte della foto ci sono io, ci siamo tutti noi ed è importante mettersi sulla sua strada, seguirlo. Ricordarsi, di fronte al tema del cancro, che c’è un puntino mobile e vivo tutto rosa nella vastità del nostro Pianeta che non si arrende. Per sua moglie e per tutte le donne.  

CIASCUNO HA IL SUO INCUBO seconda parte

La paura. La paura è quando non sai se ciò che vivi è reale o meno.

Quando pensi di essere finito dentro un film o in un incubo.

La paura è quando non ti svegli.

Non ti svegli perché no, non stai dormente.

La paura è essere soli, per davvero.

E il coraggio lo trovi se vicino hai qualcuno che ha ancora più paura. Se il suo sguardo esprime la sensazione di non sapere che fare, di non sapere se credere o no a ciò che sta accadendo.

Isa allora, si aggrappò a quel cancello.                                                                                 Lo avevano trovato scavando tra fronde e spine che imprigionavano un muro.             Quello stesso muro che Greta voleva scavalcare.

Isa gridava con tutta la voce che aveva e che mai aveva creduto di avere.                        Usò tutte le lingue che conosceva. Sfruttò ogni intonazione.                                                 La gola graffiava, sanguinava.                                                                                              Gocce rosse cadevano sul terreno, scivolando sulla pelle bianca di Greta. Le sue mani perdevano ossigeno, linfa, liquido vitale delle ferite.

La paura è tagliente.

Passi. Ancora passi. Greta si alzò in piedi.

Isa continuò a chiamare.                                                                                                      C’era qualcuno. Due persone. Vere.                                                                                       E con loro un cane. Arrivarono fino al cancello.                                                                 Solo le sbarre separavano Isa e Greta da qualcos’altro.

Sempre se l’incubo non fosse continuato.

 

CIASCUNO HA IL SUO INCUBO prima parte

Buio. Vento.

Porta che sbatte. Una figura scura oltre il vetro.

Il giardino era immenso, le luci si stavano spegnendo. Restava solo il chiarore di un debole tramonto.                                                                                                                        Bussare non aveva senso. Non c’era più nessuno. Possibile?                                             Isa guardò la sua amica, erano in trappola, si erano perse in quel labirinto che fino a poco prima era sembrato un paradiso. Il palazzo si ergeva immenso, senza rassicurarle. I vicoli del giardino tornavano sempre allo stesso punto.

Buio. Freddo.

Le foglie sembravano parlare, sussurrare frasi. Le nuvole si muovevano come a voler chiudere anche il cielo.                                 D’un tratto dei passi, lontani e poi sempre più vicini. Qualcuno era lì con loro, procedeva intorno a loro ma non lo vedevano.

Isa si sentì afferrare, qualcuno con vigore la trascinava. Greta guardava immobile, sconvolta. Non si vedeva nessuno. Ma la sua amica si muoveva come presa da qualcuno. Un brivido le percorse la schiena, mentre cani abbaiavano da qualche parte.    Isa di colpo cadde per terra. Greta la raggiunse, scoprendo che la sua amica aveva gli occhi rossi, fulminanti. Lanciò un urlo. A quel suono sembrarono rispondere degli uccelli neri che si levarono in cielo.

Poi, silenzio.

Alfred Hitchcock. VERTIGO il miglior film di tutti i tempi

Il 13 agosto 1899 nasceva il genio della suspance, colui che ha rivoluzionato il linguaggio cinematografico. L’ultima classifica dei migliori film di tutti i tempi stilata da Sight & Sound, la rivista cinematografica britannica pubblicata dal British Film Institute, ha conferito il primo posto a Vertigo (1958) di Alfred Hitchcock. Dopo cinquant’anni, questo capolavoro supera Quarto Potere di Orson Welles, altra opera eccellente del mondo della settima arte.          In Italia è conosciuto con il titolo La donna che visse due volte, è un ricco di personaggi complessi, intrecci psicologici e tematiche che costituiscono uno degli immaginari più accattivanti della sua filmografia.

Oggi che ricorre la data della sua nascita e alla luce del premio che uno dei suoi film ha ottenuto, vorrei scrivere di uno dei miei registi preferiti, dall’inimitabile personalità, ironico, curioso osservatore della realtà e analista delle emozioni umane.

Passivi comportamenti sociali aggressivi, desideri proibiti frenati, l’ambiguità, il dubbio e la paura, l’inconscio,  il contrasto tra realtà e apparenza sono elementi ricorrenti dei suoi film. Vertigo racconta una storia di fobie per le altezze, di un piano omicida basato sull’inganno e il raggiro di un amico. Scottie, ex poliziotto, si fa coinvolgere, troppo. Fino ad innamorarsi di una donna che non esiste, fino a volerla ritrovare in un’altra, fino a scoprire che è la stessa. Fino a perderla due volte. Vertigo si regge su un inganno e le falsità possono solo portare allo smarrimento.

In Vertigo, il tema della vertigine è sviluppato in elementi diversi, a partire dai titoli di testa che appaiono su un volto, fino al particolare dell’occhio, dentro l’iride in una spirale infinita. Gli incubi di Scottie, che soffre di vertigini, la sua vertigine amorosa, che sfocia in un’ossessione, lo chignon di Madeleine, la scala a chiocciola, il tutto racchiuso nella circolarità della vicenda narrata.

Per quanto riguarda l’innovazione tecnica, l’effetto vertigine è riprodotto con una sincronia tra zoomata in avanti e carrellata indietro, un’ eccezionale contributo per la visuale.

Il concetto di doppio è l’altro polo principale dell’opera: uno stesso personaggio vive due volte, è fatto rivivere da un altro. La morte si ripropone due volte.

Vertigo è una storia di paure inconsce, di quelle che fanno finire Scottie in una spirale senza uscita. La stessa in cui Hitchcock, come solo lui sa fare, trascina chi guarda.                                                                                                                     Vertigo coinvolge lo spettatore in una ricerca, rincorso dalla suspance: Hitchcock ne è il maestro. La distingueva dalla paura, tipica degli horror, in cui qualcosa o qualcuno appare all’improvviso. La suspance invece, pone lo spettatore in uno stato di ansiosa attesa, accentuata dalla musica, da ombre e luci particolari, da informazioni aggiuntive rispetto alle conoscenze che i protagonisti della storia possono avere: il meccanismo più efficace per interessare lo spettatore, per turbarlo.

Lo spettatore, anche in questo film, diventa un compagno di osservazione di Hitchcock, è come preso per mano, immerso e indotto a provare empatia. E’ reso partecipe.           A questo contribuiscono le riprese in soggettiva, l’attenzione scrupolosa nella costruzione di inquadrature, sceneggiatura, suoni, montaggio.

Per qualcuno il cinema di Hitchcock è dedicato a coloro che sanno andare oltre, oltre l’immagine, gli schemi, la realtà, la fantasia, il sogno.                                                        Sarà per questo che ho sempre sentito una certa affinità e sintonia con il suo modo di raccontare e rappresentare.                                                                                               Sarà per questo che resta un punto di riferimento per tanti registi.                                   Sarà, forse, perché egli stesso come i suoi personaggi, apparentemente così innocenti e rassicuranti eppure ambigui, sono perfetti nella costruzione di un mondo a tinte gialle. Quello più vicino alla quotidianità, alle apparenti consuetudini della nostra vita.

UNDERGROUND NEW YORK LIBRARY. scatti di un’altra osservatrice speciale

Un libro.

Cosa c’è dentro un libro? Cosa c’è dentro chi legge?

Si possono capire, scoprire tante cose dal libro che cattura la tua attenzione, dalle frasi sottolineate, dagli spigoli piegati, dal titolo in copertina di quelle pagine che si scorrono, una dopo l’altra…

Vedere qualcuno intento e preso dalla lettura, catturato in un mondo sconosciuto mi ha sempre incuriosita. Direi che non sono l’unica…

La fotografa Ourit Ben-Haim ha iniziato a fotografare i passeggeri/lettori delle metropolitane di New York, sviluppando un progetto molto interessante dal punto di vista non solo artistico ma anche di studio sociale e antropologico. Lei posta ogni giorno le foto sul suo sito Underground New York Library,

Quando capito in metropolitana, penso sempre che sia un perfetto punto di osservazione, so che per chi è un’abitudine quotidiana, spesso è quasi una tortura ma io, ogni volta, resto lì a guardarmi intorno, a chiedermi cosa starà pensando quella persona, chi è, dove va, se ascolta la musica in cuffia cosa ascolta e … se legge cerco di riuscire a vedere almeno il titolo in copertina! Mi ha sempre fatto con piacere notare che tante persone hanno questa abitudine, anche in Italia e noto, con altrettanto piacere, che sono ancora la maggioranza coloro che tra le mani tengono un libro e non un Ipad. Vuol dire, credo, che le persone hanno ancora piacere nello sfogliare pagine di carta, leggere l’inchiostro stampato, percepire il contatto vero con il libro, come ad aggrapparsi in modo più sicuro alla storia di cui stanno leggendo.

La persona persa nella lettura in metropolitana, si isola nella sua realtà, intima e fantastica, sospende momenti di vita “reale” con un momento di vita, reale sì ma in una dimensione altra. Una storia d’amore simile a quella che si sta vivendo, una serie di battute comiche che distraggono dall’ultimo diverbio con i colleghi in ufficio, un racconto horror che dà il brivido, una poesia da regalare a qualcuno che aspetta a casa e sicuramente tanto altro…

Dice Ben-Haim: “E ‘la gente per conto proprio, di loro spontanea volontà, questo è quello che stanno scegliendo di fare .Quando vedi qualcuno godere di una cosa per conto proprio, [pensi], ‘Aspetta un attimo, forse posso godere anche questo.”

Frenesia. Corsa. Quotidianità bruciata.

No.

Un momento che ridà aria, proprio nel tunnel della metropolitana, c’è. Lo permette un libro.

E cosa c’è oltre? Chi sei?

E’ più forte di me, è una curiosità forte anche per Ourit andare oltre.Oltre tutte le etnie, i colori, le espressioni sul viso, le lingue parlate, dei pendolari raccolti, stretti sulla metro.

Oltre quel libro che li salva. Li emoziona. Li accompagna.

E voi che libro leggete in metropolitana? Scrutate anche voi le preferenze degli altri o siete voi i lettori? Come apparireste catturati in una foto di Ourit?